Il tema ricorrente di Buenos Aires è stato il continuo sentirmi ripetere di fare attenzione a furti e rapine. A me non è successo nulla di spiacevole, ma evidentemente il problema c’è e deve essere anche serio.
Me ne ha dato la misura, per esempio, anche il fatto che uno dei nipoti che ho conosciuto a Mendoza si è appena trasferito da Buenos Aires e sta cercando un lavoro. Ha lasciato un’attività che gli stava andando bene e sulla quale aveva investito, ma di Buenos Aires, dei suoi ritmi e della sua insicurezza era arrivato a non poterne più e piuttosto che restare là ha preferito mollare tutto e ricominciare da zero da un’altra parte.
Mendoza è un’altra cosa, si avverte immediatamente. Buenos Aires a volte si può confondere con una città europea, pur con le sue baraccopoli, una delle quali in pieno centro, a due passi dalla stazione dei bus. A Mendoza invece risulta chiaro che non ci si trova più in Europa, anche a chi fosse ancora frastornato dal lungo viaggio. I vecchi edifici coloniali non esistono più, sono stati abbattuti dai tanti terremoti che hanno sempre colpito questa zona, ma la struttura della città è rimasta divisa in un reticolo di strade perpendicolari. Chiedendo un’informazione nessuno ti spiega le distanze in metri. L’unità di misura urbana è la quadra, cioè il numero di lati degli isolati che dovrai percorrere prima di giungere a destinazione, o svoltare.
Il centro è pieno di bei viali alberati, ed il ritmo della vita che scorre sembra decisamente meno veloce rispetto a quello di Buenos Aires. Parallela a tutte le strade scorre una rete di canali profondi. Molto profondi, a finirci dentro ci si può fare molto male. Senza questa canalizzazione il territorio sarebbe completamente desertico. E’ un’opera incredibile che ha origini molto più antiche della colonizzazione: è stata costruita dagli indios Huarpes, che abitavano la zona da molto tempo prima dell’arrivo degli spagnoli.
Dopo Mendoza ritornare a Buenos Aires mi ha reso ancora più evidente il ritmo accelerato della capitale. Non siamo ai livelli europei, ma ci manca poco.
Quando ho detto a Sergio che sarei voluto andare alla Boca mi ha risposto qualcosa come: se proprio ci tieni. Mi ha lasciato un po’ perplesso, ma quando poi sono andato ho trovato solo due vie corrispondenti alle immagini che avevo sempre visto: una piena di bar e ristoranti per turisti con ballerini di tango a pagamento e l’altra piena di artisti che vendono i loro quadri raffiguranti scene, per l’appunto, di tango. Il tutto lungo al massimo due o trecento metri. Il resto è un quartiere malandato, povero, pericoloso e puzzolente per via delle acque putrefatte di una vicina vecchia zona del porto abbandonata. Mi immaginavo di trovare l’anima di Buenos Aires e invece ho trovato una trappola per turisti. Anche se non discuto che la vera Boca, quella senza le case colorate di fresco, lo sia veramente, o che lo sia stata, l’anima della città. O una delle anime.
A me pare che l’anima di Buenos Aires aleggi su un po' tutta la città e non in un quartiere o in una zona particolari. Ho avuto la sensazione di una città complessa, affascinante e piena di problemi, dalla percezione dei quali però non sono riuscito a distaccarmi durante il mio soggiorno da visitatore.
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hai centrato in pieno l'essenza di Buenos Aires (anche se io sono stata solo 4 giorni).
RispondiEliminabuon proseguimento e se puoi vai a Salta e Jujui nelle Ande, merita proprio.
Ilenia (la nipote di Sebastiano)
A Salta e a Jujui vorrei proprio andarci, anche se ancora sono molto lontano...
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