giovedì 26 febbraio 2009

Chiloé

Andando lentamente sono riuscito persino a distanziarmi da solo. Oggi scrivo di Chiloé, ma sono a San Martin de los Andes, di nuovo in Argentina, dopo essere già passato con tutta calma per Puerto Montt e dalle parti del vulcano Osorno ed essermi fermato per un paio di giorni a Valdivia. Riuscirò mai più a raggiungermi?
In ogni caso, la città di Castro e tutto l'arcipelago di Chiloé avrebbero meritato una sosta più lunga. Chiloé ha avuto una storia e uno sviluppo diverso dal resto del Cile. Gli spagnoli ci si sono insediati già alla fine del cinquecento, ma per l'assenza di metalli preziosi e per la sua posizione geografica è stato oggetto di una colonizzazione più marginale e povera, che lo ha tenuto per secoli lontano dai traffici commerciali più importanti. In questo parziale isolamento, dalla fusione tra le tradizioni indigene e quelle dei colonizzatori si è sviluppata e si è mantenuta in vita una cultura molto particolare, che comprende anche tutto un sistema di leggende e di personaggi mitologici. Mi sarebbe piaciuto approfondire sul posto questo tema. Ad esempio capire meglio le origini di questa mitologia, le cui figure sembrano più vicine a quelle delle leggende del nord Europa. Visto che all'arcipelago inizialmente era stato dato il nome di Nuova Galizia, è possibile che i primi coloni provenissero da lì. La Galizia è una regione dove c'è stata una forte presenza celtica e dove le tradizioni celtiche sono ancora vive e radicate. Ma sono solo supposizioni che faccio io. Sicuramente non è difficile trovare la risposta a questa mia curiosità, probabile che sia sufficiente fare una ricerca su internet, però approfondire argomenti come questo direttamente sul posto è tutto un altro piacere. Ma non mi sono fermato abbastanza a lungo per indagare, né per rendermi conto fino a che punto questo universo mitologico sia presente nella vita della gente, però indubbiamente un'atmosfera diversa da tutti gli altri posti dove sono stato finora si avverte nell'aria fin dal primo impatto. Chiloé è un posto chiaramente diverso dal resto del Cile. Anche per via di alcune caratteristiche architettoniche, come le palafitte, che viste dal lato della strada sembrano case normali, ma sulla strada hanno appoggiata solo la facciata, e le chiese di legno cosparse in tutto l'arcipelago, molte delle quali sono patrimonio dell'umanità dell'UNESCO. Per le strade si sentiva spesso musica popolare locale, che mi ha ricordato il saltarello marchigiano con influenze messicane. Ed il pesce e i frutti di mare erano speciali.
Quello che mi ha spinto a ripartire non è stata solo la pioggia, ma la mia voglia di salire ancora verso nord. La pioggia poi, contrariamente alle previsioni, ha concesso una pausa proprio la mattina del giorno in cui sono ripartito, inducendomi ad un mezzo pentimento ma consentendomi perlomeno di fare un giro per la città all'asciutto. E comunque ormai il biglietto era fatto.


vista dalla strada


vista dal mare

lunedì 23 febbraio 2009

Chaitén

Effettivamente a Chaitén sono riuscito a passare per un pelo. Il porto è stato chiuso mercoledì scorso ed io ero passato martedì. Ed è stato chiuso anche il passo di frontiera di Futalefù, per via della bassa visibilità provocata dalle ceneri vulcaniche, ed era l'altra via di uscita dalla carretera Austral. Se fossi passato due giorni più tardi, o forse solo uno, non so come sarei potuto venirne fuori. C'è almeno un altro passo di frontiera più a sud, ma certo ci sarebbero voluti ancora giorni e giorni.
Leggendo sui giornali ho cercato di ricostruire gli avvenimenti, un po' a fatica perché pur essendo il mio spagnolo un po' migliorato (poco, molto meno di quanto sperassi) i termini più tecnici mi hanno messo in difficoltà.
Giovedì c'è stata l'esplosione, la parete del vulcano si è spaccata sul lato rivolto verso la valle e la città, sono fuoriuscite circa trenta milioni di tonnellate di materiale incandescente (ceneri, rocce e lava) che si sono accumulate alla base della montagna, sul letto del fiume. Lo stesso fiume che già straripò qualche mese fa, ostruito dalle ceneri vulcaniche, e tagliò in due la città. E' altissimo il rischio che ulteriori piogge provochino lo scivolamento a valle di questo fango incandescente, ad una velocità che potrebbe arrivare fino a duecento chilometri all'ora. La città sarebbe investita nel giro di 15 - 20 minuti e sarebbe praticamente impossibile ogni tentativo di fuga.
E' stata ordinata l'evacuazione delle circa 250 persone che erano tornate a Chiatén, ma alcuni si ostinano a rimanere. Per il momento sono stati allontanati d'autorità solo una dozzina di minori. In città rimangono ancora una trentina di persone, tra cui tre minori al cui allontanamento i genitori si sono ulteriormente opposti, e per portarli via sono state avviate le azioni legali necessarie presso il Tribunale della Famiglia.
La questione è oggetto di discussioni politiche, e probabilmente anche di speculazioni varie. Un senatore ha dichiarato che la città è stata data per morta troppo in fretta, mentre esistono effettive possibilità di ricostruirla sul posto, estendendola semplicemente verso i quartieri più a nord. Ha accusato il governo di subire la pressione di un gruppo di impresari ecologisti, ai quali interessa che Chaitén venga dichiarata morta per continuare a comprare, e a prezzi più bassi, terreni nella zona. Si riferisce a Douglas Tompkins, il creatore ed ex proprietario del marchio The North Face, e a sua moglie, che da anni comprano enormi estensioni di terreno in Patagonia e ne fanno dei parchi naturali, aperti a tutti, allo scopo di tutelare il territorio e le foreste dallo sfruttamento economico. O, dicono alcuni, allo scopo di rivendere l'acqua potabile dei ghiacciai. Sono comunque proprietari di un'enorme porzione di terreno che di fatto taglia in due il Paese, e questo viene considerato come una minaccia alla sovranità nazionale, sebbene recentemente Tompkins abbia donato ad una fondazione cilena il più grande dei suoi parchi, il Pumalin, che si trova a relativamente poca distanza da Chaiten. Ho letto interventi di vari altri politici che si fanno portatori delle istanze e del malcontento degli abitanti di Chaiten. Non conosco a sufficienza la realta' e la classe politica di questo paese per permettermi di giudicare, certo la sensazione, in alcuni casi, e' stata quella del cavalcare l'onda per opportunismo. Pero' mi ha colpito il fatto che le varie dichiarazioni toccavano comunque argomenti concreti ed erano sempre espresse con parole chiare, non c'era da chiedersi: cosa avra' voluto dire? Almeno il linguaggio e' differente da quello a cui sono abituato.


la zona ripulita



la parte sommersa e portata via dal fiume

mercoledì 18 febbraio 2009

Piove

Una volta che ci si infila nella carretera austral non è tanto semplice venirne fuori. Le vie di uscita a nord sono due: o si arriva fino a Chaiten e poi da lì, per proseguire verso Puerto Montt o verso l'isola Chiloé, si deve prendere un ferry, oppure un po' prima di Chaiten si devia per un passo andino e si esce in Argentina. Io ho deciso di risalire ancora un po' per il Cile ed ho scelto l'opzione per Chaiten e poi isola Chiloé. L'uscita attraverso l'Argentina sarebbe stata forse più semplice, se non altro perché i bus erano più frequenti, anche se il viaggio in sé lo immagino altrettanto massacrante, dando un'occhiata alla cartina e chiedendo notizie sulle strade.
Dopo Cochrane la tappa successiva è stata Coyhaique. Altre nove ore di buche, curve e saliscendi. Prima e durante questi viaggi non mangiavo quasi nulla, così lo stomaco in particolare ne usciva relativamente bene, ma era tutta la persona che ne usciva complessivamente rintronata. Quando scendevo dai bus (che in realtà erano per lo più dei pulmini) ero in grado di cercarmi del cibo e un posto per dormire, ma per altre attività che impegnavano di più il cervello, come fare programmi per il futuro, se ne riparlava il giorno dopo.
A Coyhaique sono rimasto forzatamente fermo per due giorni. I bus non erano molto frequenti e spesso erano pieni. Anche reperire informazioni non è stato così semplice, tanto più che sono capitato di sabato e domenica ed ho trovato chiuso tutto il possibile, e così le informazioni che mi servivano le ho trovate più su internet che chiedendo sul posto. E comunque, dei due giorni passati a Coyhaique, uno intero l'ho speso per cercare il modo per muovermi da lì (e il secondo giorno ha piovuto sempre).
Il problema era capire se si potesse transitare per Chaiten. Chaiten è stata sepolta dalla cenere di un'eruzione vulcanica lo scorso mese di maggio ed ora è ufficialmente evacuata, anche se ci vivono ancora circa duecento persone e sono aperti un paio di ostelli, pur senza autorizzazione. Chi ci ha dormito mi ha detto che le scosse di terremoto sono continue: il vulcano è ancora molto attivo. Non c'è né luce, né acqua potabile né gas. Qualche tempo dopo l'eruzione il fiume che la costeggiava, intasato dai detriti, è straripato e si è aperto un nuovo corso tagliando in due la città, portandosi via tutto quello che ha trovato sulla sua strada, comprese le case. Cosa ne sarà di Chaiten ancora non si sa. C'è il progetto di ricostruirla ad alcuni chilometri di distanza, fuori dalla portata del vulcano, ma molti degli abitanti non vogliono sapere di andarsene.
Alla fine comunque ho appurato che transitare era possibile ed ho proseguito in quella direzione. Nella tappa successiva sono arrivato fino a Villa Santa Lucia. La durata del viaggio prevista era di dieci ore, ma alla fine sono state tredici, a causa della pioggia incessante e della strada di conseguenza assai mal ridotta. L'ho presa bene, prima di partire ho pensato che andavo ad affrontare un'avventura e non un semplice viaggio di trasferimento. Ho capito che dovevo prenderla così quando ho visto il mezzo di trasporto, un pulmino vecchio e ridotto piuttosto male. Vista sotto questa prospettiva l'avventura è stata anche divertente, ma certo quando sono arrivato a destinazione ero piuttosto sbomballato. A Villa Santa Lucia sono arrivato che era già notte e pioveva. Il paese è molto piccolo ed era tutto buio. Mi avevano indicato dove avrei trovato un ostello, ci sono passato davanti una prima volta ma non l'ho preso in considerazione perché mi era sembrata una casa in abbandono. Al secondo passaggio ho notato un foglio di carta con su scritto a penna "hospedaje". Certo non ispirava molto, ma con il mio occasionale compagno di viaggio francese ci siamo guardati un attimo e abbiamo bussato: pioveva forte, il paese non dava altri segni di vita e a quel punto un tetto era l'unica cosa che si desiderava (anche se qualche dubbio che un tetto ci fosse ce l'avevo).
L'ostello era gestito da una famiglia sfollata da Chaiten, la cui casa era stata portata via dal fiume. Stanno cercando di ricostruirsi la vita con quell'ostello, che pure era in costruzione. Sono stati ospitali, ci hanno preparato una cena ottima e un'altrettanto ottima colazione per la mattina dopo. La stanza dove ho dormito profumava di legno fresco, il tetto c'era, il letto era comodo e nonostante lo sbattere continuo del nylon che sostituiva il vetro della finestra proprio sopra alla mia testa (e qualche spiffero) ho dormito benissimo.
La mattina dopo gli ultimi chilometri di carretera Austral fino a Chaiten. Non me la sono goduta molto, la carretera Austral. La strada in sé per la verità è tutt'altro che godibile, ma lo sarebbe molto lo scenario che attraversa. Ma io purtroppo questo scenario l'ho potuto quasi solo intuire e immaginare: ha piovuto quasi sempre e lo sguardo si perdeva subito nel grigio delle nuvole e della nebbia (questo le poche volte che riusciva a passare di là dai finestrini, che dopo pochi chilometri si ricoprivano di fango).
Come ho potuto appurare personalmente si tratta di una zona molto piovosa. Le perturbazioni provenienti dal Pacifico si impuntano sulle montagne e stazionano per giorni e giorni. Qui non c'è lo stesso vento che c'era dall'altra parte della cordigliera. Di là poteva mettersi a piovere anche dieci volte al giorno, ma dieci volte poteva tornare il sole, era un clima molto più dinamico. Qui sono giorni che non vedo un raggio di sole.
A Chaiten era tutto grigio, il grigio del cielo e quello della cenere. Il passaggio per le vie della città è stato rapido, il pulmino l'ha attraversata velocemente e mi ha scaricato direttamente al porto, che si trova circa a un chilometro di distanza. Ho potuto vedere che in alcune zone le case sono ancora quasi completamente sepolte dalla cenere, mentre altre strade sono state ripulite e sembrano quasi quelle di una città normale, se si esclude il grigio predominante dappertutto. Dal porto si poteva vedere bene la nuova foce che il fiume si è aperto, una lunga strisciata di fango misto di sabbia e cenere che si allunga verso il mare, ed alcune case sradicate via dalla città e rimaste lì, semi sommerse.
Il viaggio è continuato con un ferry fino a Quellon, sull'isola Chiloé. Poco più di un'ora di sosta in attesa del bus per Castro, la meta finale della giornata. A Quellon la pioggia ha concesso una pausa che ho molto gradito. Il posto mi ricordava altri posti in cui ero stato, ma non riuscivo a focalizzare quali, e così ho passato quell'ora piacevolmente all'interno delle mie memorie di altri viaggi.
Tutta la carretera Austral l'avevo percorsa quasi sempre in compagnia delle stesse persone, ma quasi tutti hanno scelto la via d'uscita per l'Argentina (e forse hanno fatto bene perché almeno ora staranno all'asciutto) e così mi sono ritrovato, dopo tanti giorni, di nuovo da solo. Sarà anche perché aveva appena smesso di piovere, ma la sensazione è stata piacevole. Ho avuto l'impressione di un nuovo inizio, e in effetti in tutti questi giorni sulla carretera Austral mi sono sentito come di passaggio. Al di là della pioggia continua che oggettivamente ha reso queste giornate poco piacevoli, anche il mio interesse per questi posti non è stato lo stesso che avevo avuto fino a poco tempo fa. In questo momento sono in transito verso il nord, ho voglia di un altro tipo di paesaggio e di ambiente. Transitando mi guardo intorno, ma intorno vedo solo grigio ed effettivamente questa fase del viaggio non è molto entusiasmante. Ma pazienza, ci sta anche questo.
Alla fine sono arrivato a Castro. La città è bella, però appena arrivato ha ricominciato a piovere. E' da ieri sera che piove senza pietà e la sensazione è che potrebbe continuare all'infinito. Mi è venuto in mente Cent'anni di solitudine: piovve per quattro anni, undici mesi e due giorni...
Con tutta questa umidità stanno venendo fuori i dolori e le rigidità articolari e di schiena con cui convivo durante tutti i miei inverni falconaresi. Ho visto le previsioni del tempo che danno ancora pioggia a tempo indeterminato. Per cui domani riparto e vado ancora un po' verso nord, volevo fermarmi qui ancora un altro giorno, la città lo meriterebbe, ma è più forte la voglia di incontrare un raggio di sole. Salendo ancora verso nord prima o poi si incontra il deserto, dove non piove da trecento anni, quattro mesi e sei giorni...


Quello che ho visto della carretera austral. Notare l'espressione del francese, nell'ultimo fotogramma.

giovedì 12 febbraio 2009

Gli ultimi giorni in cinque parti

Le montagne da vicino
A El Chalten ho trovato bel tempo e le montagne si sono quasi sempre mostrate senza pudore. Ho dedicato una giornata a una lunga camminata fino ai punti di osservazione più avanzati raggiungibili dai comuni mortali, poi dei cartelli avvisavano che potevano spingersi oltre solo gli autorizzati, cioè gli scalatori o i trekker di grande talento. Ne ho visti alcuni salire verso il campo base del Fitz Roy. Vederli diventare dei puntini sempre più piccoli rendeva molto bene il senso della dimensione della montagna.
Il Cerro Torre ha continuato a calamitarmi lo sguardo e mentre tornavo indietro non potevo fare a meno di voltarmi di continuo a guardarlo e riguardarlo. Ha un che di impressionante quella montagna.
Qui c'è un filmato di uno che il Torre l'ha visto molto più da vicino:

Ho fatto molta strada, me lo sono potuto permettere perché sono andato leggero. Ho rispettato i tempi di percorrenza indicati dalle cartine. Ma anche qui, come al Paine, sono tempi calcolati su un buon passo di uno che va senza troppo peso.
In ogni caso, in vista della probabile traversata a pieno carico che mi attendeva due giorni dopo, ho verificato che le gambe andavano abbastanza bene. I piedi, come al solito, molto meno. Dovrò fare qualcosa per i miei piedi quando torno, perché sono stanco di camminare sempre sopportando dolori. La prova più dura però sarebbe stata per le spalle, e quelle le ho risparmiate. Pensavo a quelli che avevo visto andare su verso il campo base, stracarichi e apparentemente come niente fosse: loro la mia traversata l'avrebbero fatta di corsa e col doppio del peso. Avrebbero lasciato indietro pure i cavalli.
Ho passato l'ultimo giorno a El Chalten riposandomi e preparandomi mentalmente a fare il lavoro del cavallo. In certi casi conta più la testa delle gambe. Ho preferito non far conto sulla presenza equina, tanto più che mi era stato detto che quasi sicuramente i cavalli non li avrei trovati.
Nonostante la bellezza delle montagne e dei ghiacciai ero stanco di quella parte di Patagonia così turistica, dove mi sentivo come un pollo da spennare. Per abbandonare i panni del pollo ero disposto ad indossare per un giorno quelli del cavallo.



i puntini dentro al cerchio rosso sono gli intrepidi che salgono verso il campo base, e la montagna è ancora abbastanza lontana


L'attraversamento del confine

La traversata prevede questi passaggi: 37 chilometri con un pulmino da El Chalten fino al lago del Desierto e attraversamento del lago suddetto con una lancia (tutto a pagamento, e piuttosto salato). Sull'altra sponda del lago la gendarmeria argentina e i soliti controlli e timbri. Poi il famoso tratto da fare a piedi o a cavallo, che inizialmente mi era stato indicato come di 15 chilometri e che poi erano saliti a 18. Fino ad arrivare prima alla gendarmeria cilena, altro timbro sul passaporto, e poi all'estancia Candelario Mancilla, sulla sponda del lago O'Higgins. L'estanciero di Candelario Mancilla è quello che di solito si presenta coi cavalli alla gendarmeria argentina e si offre di trasportare persone e/o bagagli fino al lago O'Higgins. Dal lago O'Higgins altra imbarcazione fino a Villa O'Higgins, il villaggio più meridionale del Cile, sul versante occidentale della cordigliera (lato Pacifico), raggiungibile via terra.
Il tipo dell'agenzia di El Chalten che mi aveva venduto il passaggio in pulmino fino al lago del Desierto mi aveva dato diverse informazioni che poi si sono rivelate imprecise o completamente sbagliate. Mi aveva detto che sicuramente non avrei trovato i cavalli perché quello era proprio il giorno in cui sarebbe cambiato il contingente nella gendarmeria argentina. Siccome, mi ha detto, i cavalli dell'estanciero di Candelario Mancilla non sono perfettamente in regola con le norme veterinarie argentine, molto difficilmente costui si sarebbe presentato senza prima aver fatto la conoscenza con il nuovo comandante ed appurato la sua disponibilità a chiudere un occhio. E, pur avendomi detto che si trattava di un suo buon amico, aveva tuttavia dipinto l'estanciero come una persona poco affidabile e molto attratta dal denaro, tanto che se gli capitava qualche turista disposto a pagare meglio per altre escursioni a cavallo non si faceva problemi a non mantenere gli impegni già presi. Ed ha aggiunto che si sarebbe fatto comunque pagare la tariffa intera del trasporto, anche se avesse caricato sul cavallo solo lo zaino e io fossi andato a piedi.
Mi è sembrato un modo un po' strano di dipingere un buon amico. Mi ha lasciato perplesso anche il fatto che uno che si fa pagare qualcosa come venti euro per un passaggio di 37 chilometri possa definire qualcun altro "molto attaccato al denaro". Se tanto dava tanto, quanto mi sarebbe costato mai il passaggio a cavallo?
L'ultima informazione che mi aveva dato il tipo dell'agenzia era che circa a metà del cammino avrei incontrato una laguna, chiamata laguna Larga, posto molto bello, e mi aveva suggerito di piantare la tenda e passarci la notte.
Sapendo tutto ciò, e non sapendo che non era vero quasi niente di tutto quel che sapevo, la mattina di non mi ricordo più che giorno mi avvio, carico mentalmente e determinato a farmela tutta a piedi.
Il lago del Desierto è un posto bellissimo. E' stato oggetto di un'ennesima disputa territoriale tra Cile e Argentina alla fine degli anni 70. Credo sia entrata nel pacchetto di territori contesi quando ci fu la quasi guerra per le tre isole in fondo al canale di Beagle. Non so perché si chiami così, di desertico non ha niente, essendo circondato da boschi e montagne, con la presenza imponente del Fitz Roy sullo sfondo.
Si attraversa con un catamarano, che non è molto grande, però ancora mi chiedo come abbiano fatto a trasportarlo lassù.
Alla gendarmeria argentina come previsto non vedo cavalli. O meglio, ne vedo, ma sono quelli dei gendarmi. Faccio gli ultimi preparativi al bagaglio, cercando di ripartire il peso nel modo migliore, infilando tutto il possibile nello zaino grande, agganciando dietro lo zaino piccolo, vuoto, e davanti la borsa della macchina fotografica. Carico il macigno sulla schiena e nel momento in cui muovo il primo passo esce un gendarme e mi dice che c'è un tipo coi cavalli che può trasportarmi fino al lago O'Higgins! Ma come?! E il cambio del contingente? E le norme veterinarie? Insomma i cavalli c'erano, solo stavano parcheggiati un po' più in alto, fuori dalla mia vista. Ma io ero carico (nella volontà e anche sulla schiena, in quel momento) e determinato e la notizia non mi ha scalfito. No grazie, vado a piedi, ho detto. Soprattutto mi attraeva molto l'idea di passare la notte in tenda sulla laguna Larga, per una volta da solo in mezzo alla natura.
Così mi avvio. La prima ora è stata la parte più dura, e in questo l'informazione che avevo era corretta. Ma andavo su bene, nonostante il peso: è proprio vero che è tutta questione di testa. Facevo tre quarti d'ora di marcia e un quarto d'ora di sosta, per riposare le spalle.
Poi la seconda sorpresa: la laguna Larga. Va bene che il passo era buono ma non potevo essere già arrivato a metà strada. E il posto non era così bello come mi era stato descritto: chiuso in fondo a una valle stretta, era tutt'altro che allettante passare la notte lì. Pare che ci siano delle trote enormi, ma la cosa non mi interessava minimamente. Soprattutto era poco più di un'ora che camminavo e fermarmi lì sarebbe stata una pessima ripartizione dello sforzo, il giorno dopo mi sarebbe rimasta un sacco di strada da fare. Per cui vado oltre, a quel punto pensando di provare ad arrivare direttamente al lago O'Higgins, o comunque più avanti possibile, che di posti migliori per piantare la tenda ne avrei trovati di sicuro.
Faccio un altro po' di strada e sento dei rumori da dietro. Mi volto e vedo spuntare il muso di un cavallo. Era il famoso estanciero di Candelario Mancilla che tornava indietro con la sua carovana di cavalli senza nessuno a bordo. Era stato avvertito, non so da chi, che c'erano quattro persone da trasportare e si era presentato regolarmente all'appuntamento, ma di persone da caricare non ne aveva trovata nessuna.
L'entrata in scena dei cavalli ha rimesso le cose a posto. I cavalli sono tornati ad essere cavalli ed io sono tornato ad essere io e non più un cavallo. In quel momento ho sentito tutta forza di gravità terrestre concentarsi sulle mie spalle ed ho realizzato quanto pesava veramente lo zaino. E' stato come se la mano della provvidenza, o della forza di volontà, che me lo aveva sostenuto fino a quel momento avesse mollato all'improvviso. Tutta la preparazione mentale del giorno prima è crollata in quel preciso istante, e non ci sarebbe più stato niente da fare per rimettere insieme i pezzi. Se avessi lasciato andare via quei cavalli senza appioppargli il mio zaino non ce l'avrei più fatta ad arrivare fino in fondo. Mi sono fatto trasportare lo zaino senza neanche chiedere il prezzo (semmai vendo casa, ho pensato). Il tipo mi ha offerto di salire a cavallo, gli ho detto che non avevo mai cavalcato. Beh, prova, mi ha detto. E così ho cavalcato per qualche centinaio di metri, tanto per poter dire di aver fatto pure questa.
Nel punto in cui sono sceso dal cavallo mi ha detto l'estanciero che mancavano ancora 14 chilometri. Sono stati i 14 chilometri più leggeri della mia vita. Senza più il massiccio di granito sulle spalle mi sembrava che la forza di gravità si fosse invertita e mi spingesse dal basso verso l'alto. Me li sono goduti tutti quei chilometri, in tutta calma, fermandomi a guardare il paesaggio, bellissimo, o a sdraiarmi su un prato ogni volta che mi andava. Allego una foto scattata senza scomodarmi dal mio punto di osservazione durante una delle mie soste.
Mentre camminavo ho fatto due conti, e non mi sono tornati. Se dal punto in cui il cavallo aveva rilevato il mio zaino mancavano ancora 14 chilometri significava che fino a lì ne avevo fatti solo 4. Per quanto sovraccarico ero sicuro di averne fatti di più.
Arrivato alla gendarmeria cilena ho chiesto quanto fosse lungo il percorso tra i due laghi: erano 22 chilometri, e non 18 come mi aveva detto il tipo di El Chalten. Quattro chilometri in più non sono pochi se uno pensa di affrontarli a pieno carico. Forse se avessi saputo la distanza esatta non avrei pensato di affrontare la traversata, e quindi non avrei comprato il passaggio col pulmino... insomma ho iniziato a mettere in dubbio la buona fede del tipo.
E finalmente arrivo all'estancia, giusto all'ora di cena, in discrete condizioni, dove ritrovo lo zaino che stava ad aspettarmi. Trovo anche una bilancia e mi tolgo lo sfizio di pesarlo. Ci sono rimasto male: 35 chili, non pensavo così tanti. Ne avevo stimati un po' più di 25, e il resto pensavo che fosse la mia fiacca. Se avessi avuto nella testa questa consistenza numerica, e anche la corretta consistenza numerica del chilometraggio, probabilmente non mi sarebbe neanche passata per la mente l'ipotesi di farmela tutta a piedi a pieno carico.



il trekking come piace a me

Candelario Mancilla
La lancia che naviga sul lago O'Higgins fa un servizio misto: escursione sul ghiacciaio O'Higgins (tutto si chiama O'Higgins, intorno a quel lago) e servizio di collegamento con l'estancia Candelario Mancilla. Il tutto con un'unica navigazione. Parte la mattina da Villa O'Higgins imbarcando escursionisti diretti al ghiacciaio e camminanti (ma anche pedalanti e cavalcanti) diretti a El Chalten, che andranno a fare in direzione contraria lo stesso percorso che ho fatto io. Un primo scalo a Candelario Mancilla per scaricare i gli avventurosi camminanti, partenza per il ghiacciaio con i comodi escursionisti, secondo scalo all'estancia per caricare gli avventurosi provenienti da El Chalten e ritorno a Villa O'Higgins.
L'estancia Candelario Mancilla comunica col resto del mondo solo via radio, e fin dal mattino, via radio, era arrivata la notizia che la lancia era piena di escursionisti per il ghiacciaio e a bordo non c'era nessun ulteriore posto libero.
Ci sono rimasto male prima di tutto perché pensavo che questo versante della patagonia fosse molto meno frequentato. Comunque il verdetto finale era previsto per le cinque del pomeriggio, quando la lancia sarebbe ripassata. Le speranze erano poche, ma magari qualcuno scendeva e si liberava qualche posto. Non è accaduto e così sono stato condannato a passare un'altra giornata a Candelario Mancilla. Sono anche stato fortunato perché la stessa sorte è toccata ad altri otto avventurosi, tra camminanti e pedalanti, che come me provenivano da El Chalten, i quali, sommati ad un'altra orda di escursionisti per il ghiacciaio che attendeva a Villa O'Higgins, hanno fatto si che si raggiungesse un numero di passeggeri sufficiente a rendere conveniente una navigazione fuori programma per l'indomani. Altrimenti i giorni di attesa sarebbero stati due. Ma c'era sempre l'incognita del cattivo tempo. In teoria potevo rimanere bloccato lì anche per una settimana.
Ho vissuto tutta la parte dell'attesa con disappunto. Non ho ancora imparato a liberarmi dal peso dalle aspettative e dei programmi fatti. Poi, quando il verdetto è diventato definitivo, mi sono dovuto rilassare per forza, e allora ho iniziato a guardare la mia prigione con occhi diversi. E mi sono dato del cretino: non c'era niente di meglio che rimanere bloccati in un posto come quello.
Ho passato la mia giornata di prigionia a fare niente in un posto spettacoloso.
E' una piccola estancia che sta appena sopra alla riva del lago, protetta dal vento da una rupe e da alcune file di pioppi, piantati dal fondatore, il nonno dell'attuale estanciero. Per la prima volta dopo due mesi ho rivisto degli alberi da frutto ed un quasi orto. La mattina facevo colazione con il latte appena munto e con pane e marmellata fatti in casa. La famiglia estanciera mi ha trattato come uno di casa. In poche parole me la sono goduta.
E, per concludere l'elenco delle informazioni sbagliate che mi aveva dato il tipo di El Chalten, il soggiorno all'estancia mi è costato pochissimo e il trasporto dello zaino non mi è costato niente.



la mia prigione




la vista dalla mia prigione

Villa O'Higgins
La navigazione sul lago è stata un po' movimentata: c'era vento forte e onde che non avevano niente da invidiare a quelle del mare.
A Villa O'Higgins si ha l'impressione di trovarsi in un posto remoto ancora più che a Puerto Williams. Non c'è una banca e nemmeno un ufficio di cambio. Per fortuna, sospettando ciò, avevo fatto scorta di pesos cileni fin da Punta Arenas. Il camion che porta le scorte varie aveva qualche giorno di ritardo e nei negozi c'era un assortimento molto limitato di qualsiasi genere, alimentare e non.
Anche qui mi sono dovuto fermare un giorno in più, in attesa del bus. Ho provato a cercare un passaggio, l'avrei anche trovato, ma il gentile signore mi ha chiesto la bellezza di 50 euro per il disturbo. Ma dopo Candelario Mancilla ormai ero rilassato e il giorno di attesa l'ho preso nel modo migliore, zonzando su e giù per Villa O'Higgins, che non è sicuramente un posto stressante.



navigando sul lago O'Higgins

Verso Nord lungo la Carretera Austral
Il mio proposito era quello di fare la tappa successiva a Caleta Tortel, un villaggetto di pescatori descritto come assai pittoresco, sulla sponda di un fiordo a un centinaio di chilometri da Villa O'Higgins. Era tanto tempo che avevo messo gli occhi su questo posto, parlo di anni, ed era una delle mete che in questo viaggio non volevo assolutamente farmi mancare.
Ma solo a Villa O'Higgins ho incontrato almeno altre venti persone che sarebbero andate a Caleta Tortel. Ho iniziato ad immaginarmi un altro posto dove ci sono più turisti che abitanti e l'entusiasmo è molto diminuito.
Allora di nuovo ho cercato di capire cos'è che desideravo davvero fare, cercando di mettere da parte progetti propositi e aspettative vecchie di mesi o anni. Ho capito che quello che desideravo di più era salire verso nord. Che ormai il sud, la Terra del Fuoco e la Patagonia, in questi mesi mi avevano dato tutto quello che potevano darmi e che ora ero attratto da un altro tipo di ambiente.
E quindi ho deciso di rinunciare a Caleta Tortel e di salire verso nord più velocemente possibile. Sono stato persino orgoglioso della mia decisione: finalmente ho iniziato a sentirmi con la testa più libera.
Certo la risalita sarà veloce fino a un certo punto. Ho fatto conoscenza con la Carretera Austral ed è stata una conoscenza abbastanza scoscesa. Finora ho percorso solo il tratto fino a Cochrane, dove mi trovo attualmente. E' una strada sterrata, se due mezzi si incrociano uno dei due deve farsi da parte, piena di buche, di curve e di saliscendi. Ma attraversa uno scenario selvaggio di monti, boschi, vallate, fiumi, rocce, laghi, fiordi da rimanere a bocca aperta. Da Villa O'Higgins a Cochrane sono state otto ore di viaggio e alla fine ho dovuto rimettere insieme i pezzi di stomaco che erano andati dispersi. Anche qui devo fermarmi un giorno in attesa del prossimo bus verso nord, ma il mio stomaco ringrazia, nel frattempo che vado a zonzo per il paese, un po' più grande di Villa O'Higgins, a gurdarmi intorno e a fare due chiacchiere con la gente che incontro.

martedì 3 febbraio 2009

Le montagne generose

Questa volta ho avuto fortuna: il Cerro Torre e il Fitz Roy si sono concessi generosamente alla mia vista. Li ho potuti vedere ieri fin da lontano sulla strada verso El Chalten, il piccolo paese che sta sotto alle montagne. E dire che era previsto cielo coperto con pioggia. Sono stato fortunato anche per il posto sul bus, sono capitato in prima fila e li ho visti spuntare dalla pianura proprio davanti a me, e poi, mano a mano che ci si avvicinava, diventare sempre più grandi. Uno spettacolo. E per una volta il mezzo di trasporto sul quale viaggiavo si è fermato, non esattamente dove avrei voluto io, ma comunque si è fermato. Un bus di linea dotato di autista comprensivo verso i turisti.
Il Torre in particolare mi ha calamitato lo sguardo. Bisogna avere una testa veramente speciale per pensare di salire fin lassù.
Anche a El Chalten c'è gente, ma l'atmosfera è più tranquilla che a Calafate.
In mezzo ai numerosi passanti ogni tanto emergono delle figure che, sono certo, sono scalatori professionisti di alto livello. Non chiedetemi da cosa si riconoscono. Un po' dal fisico, un po' da come camminano, un po' dalla faccia che hanno, ma è evidente che sono loro.
Credo di aver individuato gli italiani di una spedizione di cui ho letto su internet, che in questi giorni si trovano proprio a El Chalten. Il loro obiettivo è attraversare lo Hielo Continental Sur, che è un enorme ghiacciaio, e poi aprire una nuova via su una parete di 1700 metri. Mi impressiona anche solo il pensiero del peso che si porteranno dietro, tra viveri, corde, chiodi, imbragature e attrezzature varie.
Oggi le montagne non si mostrano. Sebbene sia una bella giornata lassù ci sono delle nuvole speciali tutte per loro. Io sono già soddisfatto per quanto ho visto ieri, nei prossimi due giorni farò delle camminate per avvicinarmi ulteriormente, e se mi concederanno di nuovo la grazia di mostrarsi gliene sarò grato. Ho deciso di fare base a El Chalten e di andare su più leggero, senza tenda viveri sacco a pelo eccetera eccetera (sembro un alpinista di professione pure io? In realtà è un trekking normalissimo). Ciò comporterà di fare un po' di strada in più, ma non è il camminare in sé che mi preoccupa, quanto il doverlo fare con tanto peso sul groppone. E' soprattutto una questione di godere della vista dei posti senza troppo fiatone. Inoltre devo risparmiare energia perché credo che nei prossimi giorni tornerò in Cile attraverso un passaggio che comprende la navigazione su due laghi e un tratto intermedio di sentiero da fare o a cavallo o a piedi. La questione è che io sopra a un cavallo non ci sono mai salito, ma se l'equino mi trasportasse anche solo lo zaino mi farebbe già un gran favore (un favore che dovrei comunque pagare al suo proprietario). Insomma, al termine della navigazione sul primo lago normalmente si incontra un tipo che raccoglie la gente e la porta a cavallo (o, appunto, trasporta i bagagli) fino all'altro lago. Però a volte succede che alcuni altri turisti si presentano alla sua estancia e pagano fior di dollaroni per una cavalcata fino al già citato Hielo Continental Sur. A quel punto i trasbordanti vengono abbandonati a loro stessi e se la devono fare tutta a piedi, a pieno carico. Insomma non si tratta di veri e propri cavalli di linea. E' anche in previsione dell'eventualità di dover sostituire il cavallo che non voglio sovraccaricarmi la schiena, in questi prossimi due giorni.


Le montagne che emergono dalla pianura. Il Cerro Torre è quello a punta, il Fitz Roy è parzialmente coperto dalle nuvole, ma più tardi si mostrerà anche lui.


Eccolo

La disabitudine al caffè italiano

I primi giorni a Buenos Aires chiedevo sempre caffè espresso e corto, come ogni italiano che si rispetti, e tendevo a rimanere ad aspettare in piedi davanti al bancone. I camerieri mi guardavano come per dire: bè che fai lì impalato, e siediti no?! Alcune volte me lo hanno detto anche a voce. Le poche volte che ho resistito in piedi hanno continuato a guardarmi con una faccia come per dire: mah, cosa ci avrà da fare di così urgente questo qua... Non me lo hanno detto anche a voce ma il loro pensiero era chiaro e leggibile.
Per non sentirmi un animale raro ho iniziato a sedermi al tavolo. Presto ho capito che avevano ragione loro. Cosa stavo a fare impalato davanti al bancone? E cosa ci avevo da fare di così urgente da non potermi sedere dieci minuti?
Poi ho cominciato anche a smettere di chiedere caffé ristretto come ogni italiano che si rispetti, che se il livello del caffè sale di mezzo centimetro diomio che schifo questi qua il caffè non sanno neanche cos'è. Ho iniziato a bere tazzone e bicchieroni di caffè alla maniera locale, da sorseggiare in almeno un quarto d'ora seduto al tavolo, se in compagnia facendo due chiacchiere e se solo leggendo il giornale, o scrivendo appunti, o riflettendo sopra a varie cose o anche solo guardandomi intorno.
Ormai saranno due mesi che non bevo un caffè ristretto all'italiana e non ne sento nessuna mancanza. Quando tornerò ricomincerò a berlo, ma la tazzona di caffè lungo non mi dispiace per niente. Non è vero che il caffè lungo fa schifo, è solo un altro modo di berlo. Anzi, proprio di concepirlo.
E del resto il caffè non è un prodotto sul quale noi italiani abbiamo l'esclusiva. Non si coltiva in Italia e si beve in tutto il mondo. Tanto tanto posso capire la pasta, e poi fino a un certo punto: non è vero che fuori dall'Italia non si possa mangiarne di buona. In una specie di ristorante cinese di Punta Arenas, che di cinese aveva solo l'insegna, ho mangiato spaghetti e gnocchi che non avevano niente da invidiare a quelli della mamma.
Connazionali, quando andate all'estero rilassatevi. Fate uno sforzo, smettetela di criticare tutto quello che non corrisponde alle vostre abitudini e smettetela di guardare la realtà circostante come se foste in visita allo zoo.
Provate il beverone di caffè lungo, con la mente e i sensi liberi da pregiudizio, e vedrete che non è neanche così male.

domenica 1 febbraio 2009

Il Perito Moreno

Ero un po' indeciso se venire. Sapevo che avrei trovato un sacco di gente e la cosa non mi entusiasmava. Però ero in zona ed ho pensato che almeno una giornata ce la potevo spendere. Così sono venuto a El Calfate.
In effetti, nonostante il fiume di turisti, ne è valsa la pena, il Perito Moreno è una delle meraviglie del mondo. Oltre al ghiacciaio in sé, e forse ancora di più, fa impressione il rumore. Il boato dei blocchi che si staccano e lo scricchiolio del ghiaccio che si sgretola. Ho avuto l'intuizione giusta di andare col primo turno del mattino: all'inizio eravamo in pochi, poi, col passare delle ore, è iniziata ad arrivare un sacco di gente e sulle passarelle non ci si stava più. Invece di mettere una delle tante foto che ho fatto cercando di non inquadrare pezzi di persone, ne metto una in cui le ho inquadrate volutamente: il racconto risulta più veritiero.
Ci sarebbero da vedere anche il ghiacciaio Spegazzini e l'Upsala, ma sono raggiungibili solo con una navigazione sul lago Argentino. Esiste una sola compagnia che la offre e che, in regime di monopolio, fa prezzi decisamente alti. Non mi manderebbe in rovina, però, dopo essere stato a lungo indeciso, ho cercato di concentrarmi per capire quello che realmente desideravo fare. E' risultato che avevo voglia di allontanarmi da questo posto. Il Perito Moreno l'ho visto ed è sufficiente. Ho visto un filmato della navigazione: è un grosso catamarano pieno di gente pressata sulle sponde che sgomita per farsi spazio per scattare una foto. Lo so che trovarmi lì in mezzo mi renderebbe nervoso. Di posti che avrei voluto vedere ne ho già persi tanti, a causa delle nuvole basse, dell'impossibilità di arrivarci o di prezzi improponibili, a questo punto pazienza anche per questi due ghiacciai. In fondo quasi preferisco rileggermi le descrizioni di De Agostini, che di certo c'era arrivato facendo tutta un'altra navigazione, e lavorare con la fantasia.
Dopo i giorni passati nelle piccole città o in quelle snobbate dal flusso turistico, appena arrivato a Calafate mi sono subito sentito a disagio. Viavai continuo di gente e zaini (per carità, pure io faccio parte di questo flusso), pulmini carichi che vanno e vengono, agenzie in tutti gli angoli che offrono ogni tipo di escursione, negozi di souvenir e di artigianato, anzi "artigianato", indigeno... Non ero più abituato.
Del resto che una località come questa sia piena di turisti è normale ed inevitabile. Anche se, quando c'è troppa gente vociante, qualsiasi posto perde la sua magia. Ma la cosa che mi secca di più è questo concetto di voler spremere a tutti i costi il turista. Non tanto per i soldi in sé (o meglio, non solo per i soldi in sé, perché in effetti in questi due giorni a Calafate il mio portafoglio ha subito una seria emorragia), ma per il principio. Non mi va per niente di stare qui a farmi spennare. Oltre tutto non penso che sia una politica lungimirante, di destinazioni meno conosciute e meno care, ma altrettanto belle ed anche vicine, ce ne sono diverse altre, ad esempio l'isola di Navarino, o il lago Blanco in Terra del Fuoco.
Fatto sta che domani riparto, destinazione El Chalten. Anche là mi aspetto di trovare molta gente, ma dovrebbe essere meta di un turismo un po' più selvatico, se così si può dire, nonché punto di partenza delle spedizioni che danno l'assalto al Fitz Roy e al Cerro Torre. Sono proprio queste due montagne che voglio vedere. Ma naturalmente non so se mi sarà concesso dalle solite nuvole basse. Io ci provo.