domenica 29 marzo 2009

Valparaiso

A Mendoza avevo lasciato l'estate piena: il giorno prima che partissi la temperatura era arrivata a 37 gradi, a Valparaiso invece ho trovato quel clima che dalle nostre parti si definisce "settembrino", e qui immagino si definisca "marzolino", con la tipica leggera foschia di inizio autunno. Da qualche tempo ad ogni tappa che faccio trovo un clima differente. L'organismo sembra essersi adattato, se dovessi ammalarmi a ogni cambio di stagione starei fresco.
Valparaiso è bellissima e soprattutto unica. Questa cosa l'ho avvertita immediatamente. Appena arrivato ho sentito rinascere tutto il piacere di essere in viaggio, la curiosità di sbirciare in ogni angolo e di annusare l'aria e non solo in senso olfattivo. Si sono stappati di nuovo i canali percettivi del viaggiatore, che negli ultimi tempi mi si erano leggermente ostruiti.
Per quanto molto scenografica Valparaiso non è una città bomboniera. Ma pur essendo un po' scrostata, sporca e sbiadita è piena di vita e di storia ed appartiene a quella categoria di città che hanno una propria atmosfera forte e inconfondibile, che sembra traspirare anche attraverso i muri.
Alcuni angoli della zona bassa intorno al porto mi hanno ricordato Genova. Le colline che salgono su ripide, le case colorate che viste dal basso sembrano costruite una sopra l'altra e i tanti ascensori a cremagliera che si arrampicano quasi in verticale non potevano non ricordarmi, e tanto, Lisbona. Una Lisbona del Sud America però, somigliante e completamente diversa allo stesso tempo.
E' anche una città dove bisogna fare un po' di attenzione. Il mimetismo in Cile non funziona, avrei avuto bisogno di un nonno mapuche. In Argentina la maggior parte della popolazione è di discendenza europea, ed abbastanza europeo è anche il modo di vivere, specialmente nelle città più grandi. Ogni tanto mi chiedono informazioni stradali, segno che il mio stato di turista non salta molto all'occhio. In Cile invece la discendenza mapuche è piuttosto evidente ed anche il modo di vita è meno proteso verso lo stile europeo, ed io risulto molto più chiaramente un turista. Un turista brasiliano però, e questa è una cosa che non riesco a spiegarmi. Non ho idea di come abbia fatto il mio spagnolo, anzi "spagnolo", ad assumere l'accento portoghese, però mi scambiano ripetutamente e con convinzione per un brasiliano. Per convincerli che sono italiano devo quasi tirare fuori il passaporto. Di autentici turisti brasiliani ne ho incontrati molti, e non mi sembra proprio di parlare come loro. Però se in tanti mi prendono per brasiliano un motivo dovrà pur esserci, anche se mi sfugge.
I pericoli di Valparaiso comunque sono relativi ed è sufficiente usare alcune precauzioni. Uscire con il meno possibile, meglio ancora niente, che possa essere rubato ed evitare determinate zone, specialmente di notte. Il che, in fondo, vale anche per la maggior parte delle città europee.
Del resto mi ha scritto un francese che avevo conosciuto a Villa O'Higgins raccontandomi che a Mendoza è stato rapinato della macchina fotografica. E Mendoza passa per una città sicura, certamente più di Valparaiso.
Proprio la macchina fotografica era il mio problema. Voluminosa e ingombrante com'è non passava inosservata. In effetti un giorno ho dovuto metterla via rapidamente, e rapidamente cambiare zona, perché intorno a me avevo iniziato a notare dei movimenti che non mi piacevano. A conferma di ciò, nel momento in cui la stavo infilando nello zaino una donna del posto mi ha detto che non era proprio il caso che girassi per di lì con quell'aggeggio in vista. Non mi era sembrata una zona rischiosa. Però si tende a considerare pericolose quelle zone che sembrano un po' più malmesse, questo invece sembrava un tranquillo quartiere residenziale, con case nuove e strade belle pulite. Ma come mi ha fatto giustamente notare un tipo a cui ho raccontato l'episodio, e che mi ha confermato la pericolosità di quella zona, i pericoli non vengono dalle case.
E così nei giorni successivi la macchina fotografica l'ho lasciata in ostello. Uscivo più leggero, in tutti i sensi, e andavo in giro a sbirciare su e giù per i vicoli senza più preoccupazioni. Durante questo viaggio già troppe volte non ho potuto fare foto come avrei voluto, una volta in più non mi ha cambiato niente, anzi, ci ho solo guadagnato in tranquillità. E poi della luce marzolina di Valparaiso non ci ho capito veramente niente. E' una luce strana, bisogna sempre fare i conti con la foschia e le nebbioline, ma soprattutto ovunque andassi mi trovavo sempre il sole negli occhi, anche dove ero sicurissimo che lo avrei avuto di lato o alle spalle. Non l'ho proprio capito come gira il sole di Valparaiso. E anche per i vicoli e i saliscendi, il momento giusto non lo trovavo mai. Insomma sarebbe stato necessario ancora del tempo per capire a che ora mi sarei dovuto trovare in un determinato posto all'appuntamento con la luce giusta. Ammesso che ne sarei mai venuto a capo perché veramente quel sole sembrava che se ne andasse dove gli pareva a lui.
Ho visitato la casa di Neruda, una casa chiaramente di artista, rampicante su quattro piani, che si trova nel punto più panoramico di Valparaiso. Da lì, incredibilmente, si vede ogni angolo della città e del porto. Sembra una magia.


Vista dalla camera del poeta

L'ambiente dell'ostello era molto gradevole. La gestione era familiare. Prima avevano un altro ostello sul quale avevano lavorato per anni, ristrutturando, restaurando e migliorando. Poi l'anno scorso un incendio l'ha distrutto completamente. L'edificio non era assicurato, nessuna compagnia assicura contro gli incendi le vecchie case di legno di Valparaiso, e lui che faceva l'assicuratore lo sapeva bene. Non ne hanno fatto una tragedia, lui ha ripreso a tempo pieno il vecchio lavoro di assicuratore, che non aveva mai abbandonato del tutto (la sua vera polizza contro gli incendi) ed hanno comprato questo nuovo ostello, che era in uno stato di semiabbandono, ed hanno ricominciato dall'inizio. Tutto questo lui me lo ha raccontato col sorriso e con una serenità che non si poteva credere in una persona che aveva appena perso tutto quello che aveva costruito in anni e anni di lavoro. Non essere troppo attaccati alle cose probabilmente paga, anche in termini di salute.
L'ultima sera mi hanno portato in un locale, una specie di ristorante ma che proprio un ristorante non è. Un posto dove si ritrova la gente di Valparaiso per suonare, cantare e ballare musica tradizionale cilena. Non sono spettacoli organizzati, è solo un luogo dove si incontrano spontaneamente per il puro piacere di cantare e suonare. Ci ho trovato soprattutto gente anziana ma mi hanno assicurato che il venerdì e il sabato ci sono anche molti ragazzi, che pure si interessano alla musica popolare. E' un locale dove mi poteva portare solo qualcuno del posto, un turista armato solo di guida non lo avrebbe mai scovato. Sono cose che danno significato al viaggio: entrare, invitati e ben accolti, nella realtà viva di un luogo. Me la sono goduta molto la mia ultima serata a Valparaiso, mangiando tocchetti di merluzzo fritti impanati.


vista valparadisiaca notturna


vista valparadisiaca diurna

giovedì 26 marzo 2009

Verso Valparaiso

Con una mossa a sorpresa, con cui mi sono spiazzato da solo, anziché proseguire verso nord ho tagliato di netto a ovest e sono andato a Valparaiso. Avevo deciso o no di andare a istinto? E così da Mendoza ho ripreso di nuovo la via della cordigliera. Ed ho aggiunto al passaporto ancora un po' di timbri cileni e argentini, che ormai non si contano più. Mi aspetto che prima o poi qualche doganiere mi chieda ma si può sapere cosa vai facendo?
I primi chilometri fuori da Mendoza sono stati tutto un vigneto ma avanzando verso la cordigliera il paesaggio si è inaridito velocemente. Inoltrandosi tra le montagne lo scenario si è fatto imponente. Le montagne qui sono alte, brulle e rocciose e le valli semidesertiche lungo cui si sale lasciano il segno nello sguardo del viaggiatore curioso. Le rocce cambiano continuamente di colore, dal nero, al rosso, al giallo, fino al verde. Per pochi istanti è comparso anche l'Aconcagua, la montagna più alta di tutte le americhe (modestia a parte).
Un po' di parentesi, attinenti.

Paso de Los Libertadores
Si chiama così questo passo che permette di collegare Mendoza con il porto di Valparaiso. E' la via di collegamento terrestre più importante e più sfruttata tra Cile e Argentina. L'altezza del passo è relativa, supera appena i tremila metri, poco al confronto con altri che si trovano più a nord e che sfiorano i cinquemila, ma nonostante questo durante l'inverno viene chiuso frequentemente per le nevicate e il rischio di valanghe e frane. I versanti di queste montagne brulle sono pieni di rocce enormi e di detriti, a vederli si ha una sensazione di crollo incombente, non si capisce su cosa siano appoggiati e come facciano a stare in equilibrio. Passarci sotto è inquietante.
In generale il transito attraverso i passi di frontiera andini non è agevole e, a parte le interruzioni invernali, si tratta di percorsi difficili e scomodi, spesso non asfaltati. Io sono transitato solo in due di questi passi, ma una cosa è farlo per una volta da turista che guarda avidamente il panorama dal finestrino, senza quasi accorgersi della scomodità del viaggio, un'altra cosa è andare avanti e indietro per queste strade guidando un camion. Sul versante argentino il dislivello è lieve e si sale lentamente lungo una valle, la discesa sul versante cileno è quasi un dirupo che si affronta con una serie infinita di tornanti in uno scenario che quasi non sembra terrestre.

Il Ferrocarril Trasandino
Il passo è attraversato anche da una ferrovia, ora in abbandono. A volte corre parallela alla strada, a volte si arrampica sui versanti delle montagne vicine. In alcuni tratti esegue dei passaggi virtuosi, quasi acrobatici. Doveva essere uno spettacolo attraversare le Ande con quel treno. Ogni tanto una stazione fantasma, qualche volta con un piccolo villaggio intorno, pure quello abbandonato. In alcuni punti i binari sono stati sepolti dalle frane, ma per la maggior parte la linea è ancora perfettamente visibile. Questa ferrovia ha avuto una storia piena di difficoltà. Del resto solo a vederla dà la sensazione di un azzardo. Una ferrovia che sfidava un territorio come quello non poteva avere vita facile. I lavori erano iniziati nel 1887 ed il viaggio inaugurale è stato nel 1910. A vedere dove si inerpicano quei binari credo che davvero per quell'epoca sia stato un capolavoro di ingegneria ed un'impresa ciclopica. Ma prima ancora era stato necessario un lavoro lungo e delicato di diplomazia, per via delle dispute territoriali che ci sono sempre state tra Cile e Argentina. Nei tratti più ripidi il treno saliva con l'aiuto di una cremagliera e per sostenere lo sforzo del locomotore le traversine erano di acciaio. Lo scartamento era ridotto a un metro per permettere un raggio di curva più stretto e nelle stazioni a valle i passeggeri dovevano trasbordare su convogli a scartamento normale. Nei punti più esposti erano stati costruiti sbarramenti e gallerie di protezione, ma nonostante questo le valanghe, le frane e i corsi d'acqua che scendevano selvaggiamente dalle montagne allo scioglimento dei ghiacci provocavano danni continui e continue interruzioni della linea. E continui costi da sostenere.
Con il passare degli anni la concorrenza del trasporto aereo e stradale si fece sempre più forte. Fu migliorata la percorribilità del passo stradale, che prima poteva essere attraversato solo da automobili, con tempi lunghissimi e su strade polverose. Immagino cosa potesse essere passare per di lì in automobile negli anni trenta. Ma quando iniziarono ad asfaltare vari tratti di strada cominciarono a partire i primi servizi di bus di linea, che col tempo accorciarono sempre di più i tempi di percorrenza ed iniziarono a risultare più economici. Nel 1979 la ferrovia ha cessato il servizio di trasporto passeggeri, mentre ha continuato con le merci fino al 1984. Poi l'ennesima valanga ha provocato danni che non sono più stati riparati ed è stata abbandonata definitivamente.

Progetti per il futuro
Oltre a progetti più ordinari e modesti come asfaltare i molti tratti ancora sterrati dei vari passi andini e varie migliorie stradali, ho letto che si sta lavorando sopra a grandi investimenti.
Le frequenti interruzioni invernali (da 45 a oltre 60 giorni di chiusura all'anno) ostacolano notevolmente il flusso commerciale, non solo tra Cile e Argentina. La globalizzazione mondiale, l'internazionalizzazione della produzione, la circolazione dei beni, le nuove opportunità, la dinamica del sistema, queste cose qua.
Non è più sufficiente la sola uscita per l'atlantico della merce argentina, e brasiliana, senza contare la Bolivia che non ha uno sbocco sul mare, e la sola uscita per il pacifico per la merce cilena, e peruviana, e così via dicendo. I passi di frontiera così come sono ora rappresentano una strozzatura per la fluida circolazione dei beni. Ci sono i mercati asiatici da raggiungere in un battibaleno, e gli stessi asiatici che poterebbero investire più facilmente in Sud America.
Cosicché si sta studiando un collegamento più rapido tra il pacifico e l'atlantico. Una specie di canale di Panama attraverso le Ande. Anzi, più di uno. "Corridoi Bioceanici" li definiscono.
Il progetto è di riaprire addirittura il Ferrocarril Trasandino, ma con una portata di merci molto maggiore ed escludendo la parte più alta del percorso, che andrà sostituita da un tunnel di 23 km a una quota molto più bassa, in modo di evitare i rigori dell'inverno e le relative chiusure del passo. L'energia per mandare avanti avanti tutta la baracca la si otterrebbe da una nuova enorme diga.
Il progetto interesserebbe anche altri paesi del Sud America come Brasile, Paraguay, Cile, Perù e Bolivia, e anche diversi paesi asiatici, principalmente Corea e Cina. Loro metterebbero la tecnologia, compresi i treni, e valuterebbero investimenti industriali in zona, oltre ad essere interessati all'accesso diretto alle materie prime del Sud America.
E così c'è un movimento di delegazioni pubbliche e gruppi industriali privati che si incontrano tra Asia e Sud America e cercano di mettersi d'accordo. Sia il Governo argentino che quello cileno hanno dichiarato l'opera di pubblica utilità. Per la verità pochi anni fa un precedente progetto analogo era stato addirittura appaltato, ma l'asta era andata deserta. Ora è stato rivisto e modificato e da quanto leggo in giro sembrerebbe andare avanti. Parallelamente esistono altri due progetti di tunnel ferroviari attraverso le Ande, uno più a nord, che dovrebbe avere come sbocco il porto di Antofagasta, e l'altro più a Sud, in Patagonia, tra Neuquen e Valdivia. Se tutto questo sarà realizzato non lo so, ma insomma, se il mercato globale lo esige non ci sono Ande che tengano, ci si fa un buco in mezzo e si passa dritti per dritti.

Chiuse la parentesi trasandine. Il mio personale ennesimo attraversamento della cordigliera si è svolto in fase di veglia fino a poco dopo la serie di tornanti che scende sul versante cileno, dopodiché sono crollato. Le ore che passavo a Mendoza dalla zia si protraevano fino a notte fonda, lei ha l'abitudine di passare le notti quasi in bianco, leggendo o guardando la tv italiana. Però poi a dormire durante il giorno non ci riuscivo, e così sono ripartito da Mendoza con una buona quantità di sonno accumulato. La discesa verso Valparaiso me la sono dormita quasi tutta. Ogni tanto aprivo gli occhi e vedevo bellissimi scenari della valle dell'Aconcagua. Cercavo con tutte le forze di mantenere gli occhi aperti ma non c'era niente da fare. In uno dei brevi risvegli mi è sembrato che stessimo attraversando piantagioni di caffé, ma forse me lo sono solo sognato. Direi che è molto probabile che me lo sia sognato.
A Viña del Mar, che è praticamente attaccata a Valparaiso, il bus si è fermato per dieci minuti e ne ho approfittato per sgranchirmi le gambe e cercare di svegliarmi. Una signora cilena mi ha parlato per tutto il tempo. I cileni parlano alla velocità della luce: ogni volta che arrivo in Cile mi ci vuole del tempo per fare l'orecchio e iniziare a capire qualcosa. La signora parlava veloce anche tra i cileni. Rintronato dal sonno come ero le facevo di si o di no con la testa a seconda se il suo tono sembrava richiedere una convalida in forma affermativa o negativa, ma non ho capito una parola di tutto quello che ha detto e non la minima idea neanche di che argomento parlasse. Però quel fiume di parole alla fine mi ha svegliato e così quando sono sceso dal bus a Valparaiso ero abbastanza operativo e in grado di trovarmi un posto per dormire.

mercoledì 25 marzo 2009

Comunicato rassicurante

Va tutto bene! Faccio solo un po' di fatica a scrivere, non trovo il tempo, il luogo, l'ispirazione, il momento, le parole... Ma presto arriveranno gli aggiornamenti. Per una geolocalizzazione: ora mi trovo a Cafayate, nella provincia di Salta. E il racconto è rimasto a Mendoza: di nuovo all'inseguimento.

lunedì 9 marzo 2009

La seconda parte del viaggio

Nelle ultime settimane ho attraversato diverse zone che avrebbero meritato una visita più accurata. Dopo Chiloé, la Regione dei Laghi cilena: per il paesaggio, fatto di boschi, laghi e vulcani, e perché è la zona dei Mapuche.
I Mapuche sono l'unico popolo originario dell'America Latina che ha sempre respinto l'invasione spagnola, così come prima aveva resistito all'espansione dell'impero inca. Il territorio mapuche fu assimilato solo al momento della formazione degli stati di Cile e Argentina, per mezzo di occupazione illegale (ma favorita dai governi) delle terre da parte di privati, accordi disattesi, abusi, negazioni di diritti e vari inganni. Oggi esiste ancora una popolazione di circa un milione di individui, che vivono tra Cile e Argentina, spesso in condizioni di emarginazione e miseria nelle città più grandi. Alcune comunità hanno però saputo mantenere in vita lingua e tradizioni, e diverse organizzazioni si battono per tutela e riconoscimento di cultura e diritti.
Di nuovo sarebbe stato bello conoscere ed approfondire questo tema sul posto. Così come sarebbe stato bello salire sopra a qualche vulcano, andare in giro tra i laghi, conoscere i dintorni di San Rafael, immergersi nella pampa, visitare estancias o conoscere altre città.
In realtà in ogni angolo del Sud America ci sarebbero infiniti motivi per fermarsi a lungo: storia, storie, paesaggi, meraviglie naturali e persone da conoscere.
Però per questo viaggio ho molto tempo, ma non tempo illimitato. Non ho nessun rimpianto per averne trascorso così tanto al sud. Mi è piaciuto viaggiare come ho viaggiato laggiù. Col tempo però ho realizzato alcune cose.
Le aspirazioni fotografiche ho dovuto abbandonarle quasi subito, e inizialmente è stata una delusione. Ma viaggiando in bus non avevo la possibilità di fare un lavoro come quello che avevo in mente, ammesso che fossi stato capace di farlo, e noleggiare continuamente auto non me lo potevo permettere. Mi sono rassegnato a quello che passava il convento, le poche volte che mi sono trovato nel posto giusto al momento giusto con la luce giusta, ma in generale ho avuto un rapporto molto poco entusiastico con la fotografia, e con la mia stessa, pesante, attrezzatura. Alla fine, un po' a fatica, sono riuscito a rilassarmi. Mi ero stancato di vedere paesaggi straordinari fuori dal finestrino del bus e provare solo frustrazione per non potermi fermare a fare foto. E così ho detto al diavolo la fotografia, però almeno ho recuperato il piacere di guardare.
Ho cercato di seguire le tracce di Alberto De Agostini, con risultati abbastanza scarsi. Seguirle sul territorio era un'impresa impossibile per me, e così ho cercato persone che lo avessero conosciuto, per sapere qualcosa di lui sotto l'aspetto umano, al di là dell' esploratore. Ma non ho raccolto gran che.
Mi sono interessato alla storia e alla condizione attuale delle quattro popolazioni indigene che vivevano in Terra del Fuoco e nel sud della Patagonia e questo invece mi ha appassionato e coinvolto molto. Ho raccolto vario materiale, di cui non so neanche cosa farò, ho parlato con molte persone, e mi è molto piaciuto farlo.
Ma ad un certo punto ho capito che dovevo azzerare tutto, progetti, aspettative, propositi, fantasie, tutto quello che avevo in mente sopra a questo viaggio prima di partire. Mi è risultato chiaro che anche tutto questo frenava la mia libertà, mi portava a muovermi in direzioni limitate e pregiudicava la possibilità di cogliere tutto quello che di imprevedibile sarebbe potuto accadere da solo.
E così ho considerato terminata la prima parte del viaggio ed ho deciso di muovermi verso nord, senza un progetto particolare, né fotografico né indagatorio sopra a nulla, solo seguendo l'istinto che mi diceva, per l'appunto di andare a nord.
Perché tanta voglia di nord me lo sono chiesto durante le lunghe piogge sulla carretera Austral. Non che trovare una risposta fosse tanto importante: avevo deciso di assecondare l'istinto e questo bastava, ma solo per curiosità, visto che di tempo a disposizione ne avevo. E così ho capito che non era solo voglia di caldo, né che mi ero stancato di vedere ghiacciai fiordi boschi fiumi cascate montagne e laghi. Di tutto questo non ci si stanca mai. Semmai ne avevo lo sguardo pieno e ne ero appagato. Ma stanco no. Avevo solo voglia di respirare un'altra atmosfera, di vedere un altro scenario e di sentire, anche sulla pelle, sensazioni diverse. Il deserto subtropicale andino (non lo so mica se si chiama così) mi attirava semplicemente molto.
La risalita è stata lenta. Col senno di poi direi che forse ho un po' sbagliato strategia. Perché ora, spiacevolmente, mi ritrovo a fare i conti delle settimane che mi restano. Magari se invece che lungo la carretera Austral fossi risalito più velocemente per il versante argentino mi sarebbe rimasto più tempo per il nord. Ma del resto non potevo sapere che avrei trovato tanta pioggia. La mia idea era di risalire tranquillamente e guardandomi intorno, e non mi pareva poi tanto male. Il problema semmai è che ho vissuto questa ultima parte del viaggio come una fase di transizione, una transizione che forse si è prolungata un po' troppo. Mi sentivo in transito, e così non mi sono immerso dentro ai luoghi dove passavo con la stessa intensità e curiosità con cui avevo affrontato i primi due mesi di viaggio.
Ora, dopo questa pausa familiare, inizierà davvero la seconda parte del viaggio. I tempi saranno un po' più ristretti rispetto a come avrei desiderato, ma l'importante sarà pensarci il meno possibile.

Il ricongiungimento

Da Valdivia a San Martin de los Andes sono state dieci ore di bus, alcune su strade sterrate attraverso un passo andino. Il viaggio ha compreso alcuni inconvenienti tecnici: prima una foratura e poi un problema ai freni, al quale ho cercato di non pensare più nei chilometri seguenti. All'inizio della salita mi sembrava quasi di essere sull'Appennino, salendo ulteriormente, però, l'entrata in scena di un altro inequivocabile vulcano, il Lanin, e del bosco di araucarie ha conferito al paesaggio un aspetto molto più andino.
Dopo il confine è seguito un lungo tratto su un bellissimo altipiano, sempre col vulcano sullo sfondo, poi ho rivisto di nuovo un po' di steppa, fino ad arrivare San Martin de los Andes, una bella città in riva a un lago e circondata dalle montagne. Ero di nuovo in Patagonia. La Patagonia argentina si spinge più a nord di quella cilena. Sul versante cileno, alla stessa altezza, ero già nella Regione dei Laghi. Una Patagonia molto diversa da quella del sud, però, per il clima e per lo scenario. A San Martin mi sono fermato un giorno. Camminando poco più di un'ora, attraversando una riserva Mapuche, sono arrivato su una spiaggia in riva al lago con un isolotto di fronte. L'acqua era calda abbastanza e così ho svolto attività balneare.
Dopo San Martin la mia intenzione era di passare per la pampa. Volevo almeno vederla, la pampa argentina. Avevo individuato come obiettivo la città di Santa Rosa, facendo tappa intermedia a Neuquen. Appena arrivato a Neuquen (altre otto ore di viaggio) ho cercato tra tutte le compagnie un bus che fermasse a Santa Rosa ad un orario decente, ma i bus che partono da Neuquen e passano per Santa Rosa hanno tutti come destinazione finale Buenos Aires, dove arrivano in mattinata. Di conseguenza tutti si fermano a Santa Rosa in piena notte. Si poteva anche fare, avrei dovuto cercare un posto per dormire già da Neuquen e riservarlo. Ma da qualche giorno avevo, purtroppo, iniziato a fare un po' di conti sul tempo che mi rimaneva, e alla fine, vista anche questa scomodità, ho deciso di tirare ancora verso verso nord ed ho cambiato la mia destinazione con San Rafael, già nella provincia di Mendoza, ed è stata un'altra tirata di undici ore. A San Rafael pensavo di fermarmi uno o due giorni, i dintorni mi erano stati descritti come molto belli e volevo anche riprendermi un po' da tanto tempo seduto in bus. Però ho iniziato a star male ed ho passato alcune giornate, e soprattutto alcune nottate, molto poco piacevoli. A San Rafael dormivo al piano di sopra di un letto a castello, col soffitto molto vicino. Che il calore sale verso l'alto ho potuto sperimentarlo di persona: intorno al mio letto si era formato un microclima di quaranta gradi, ma forse anche cinquanta. Dopo la seconda nottata tribolata ho deciso di salire direttamente a Mendoza, non stavo ancora bene, ma un'altra notte in quelle condizioni non mi sentivo in grado di passarla.
E così finalmente persona fisica e voce narrante si sono ricongiunte. A Mendoza mi sto dedicando alla conoscenza del ramo argentino della famiglia, ormai sono fermo qui da una settimana e penso che riprenderò la strada tra un paio di giorni.



problemi tecnici

giovedì 5 marzo 2009

L'inseguimento

Il distacco aumenta: la persona fisica è arrivata a Mendoza, un po' malconcia per via di un'infezione intestinale che si è poi allargata ad altri settori dell'organismo, la voce narrante ha appena lasciato Chiloé. Effettivamente negli ultimi tempi ho anche allungato il passo, però a Mendoza tengo famiglia e mi fermerò per un po' di giorni, cosicché forse il ricongiungimento potrà avvenire.
Bene, in una mattina parzialmente soleggiata, ma di tanto in tanto anche piovosa, ho lasciato Chiloé. Il tratto di mare da attraversare pullulava di animali volanti e nuotanti: anatre varie, albatros, i soliti gabbiani, altri volatili non identificabili (da me), e poi leoni marini e pinguini che nuotavano a pochi metri dalla barca. Non avevo mai visto un tratto di mare così trafficato.
A proposito di animali volanti, i cieli delle città di Chiloé e quelli di Puerto Montt e Valdivia erano pieni di avvoltoi, che da queste parti sono animali rispettati e non godono di quella certa fama sinistra.


avvoltoio urbano

Puerto Montt è una città abbastanza grande, caotica e piena di traffico, uno scenario a cui non ero più abituato. Il primo impatto non è stato neanche male, visivamente. La città si affaccia sul mare ed è circondata da un semicerchio di colline piene di case. Tanti piccoli negozi e mercati e gran brulichio di gente durante il giorno, ma alle nove di sera era tutto chiuso e le strade erano molto buie. Per questo motivo c'è chi la chiama Muerto Montt. La mancanza di vita notturna per me non era un problema, però dopo tanto tempo mi sono ritrovato ad andare in giro con un po' di circospezione.
Da Puerto Montt sono andato in giornata in visita al vulcano Osorno, che a differenza di quello di Chaitén vive un periodo di tranquillità (del resto il vulcano Chaitén veniva da più di novemila anni di riposo). Apro una parentesi.


il molto vulcano Osorno

I vulcani andini
Lungo tutta la dorsale andina ci sono centinaia di vulcani attivi potenzialmente molto pericolosi, che hanno la caratteristica di attraversare fasi di riposo molto lunghe, anche di diverse migliaia di anni, tra un'eruzione e l'altra. Per questo motivo non si conosce nemmeno il numero esatto di quelli che sono realmente attivi. Ad esempio nella zona di Chaitén in tanti mi hanno detto che nessuno sapeva che quella montagna fosse un vulcano. Questo in realtà non è vero: i vulcanologi sapevano che l'ultima attività del vulcano risaliva a più di novemila anni fa, e nelle stesse immagini di Google Earth, che risalgono a prima dell'eruzione, il cratere si vede molto bene. Alcuni vulcani, come l'Osorno, hanno una forma conica inconfondibilmente vulcanica, altri no, come questo:


l'apparentemente meno vulcano Tronador

Altre montagne dalla forma conica sono state a lungo scambiate per vulcani, pur non essendolo. Tutto questo per dire della scarsa conoscenza che c'è sopra a questi vulcani, sia da parte di chi abita nelle vicinanze che da parte degli addetti ai lavori.
Quelli che si trovano più vicini alle città più grandi sono monitorati stabilmente, ma negli ultimi decenni in Cile sono sorti molti nuovi insediamenti in zone andine che prima erano quasi completamente spopolate. Ad esempio molti dei villaggi e delle città che ho incontrato lungo la carretera Austral sono nati dopo gli anni sessanta. In conclusione la fascia di popolazione esposta al rischio vulcanico non è trascurabile.

Chiusa parentesi. Sul vulcano Osorno, volendo, si poteva anche salire, mi hanno detto che per arrivare in cima ci sarebbero volute solo tre ore. Non mi fido più dei tempi di percorrenza che mi vengono dati, ma anche fossero state quattro si poteva fare lo stesso. Sarebbero stati necessari i ramponi ed un minimo di attrezzatura, che però si sarebbe potuta noleggiare. Ma andare da soli probabilmente non era il caso e di andare in processione in un'escursione con guida non me ne andava per niente. E in generale non mi sentivo in vena di prodezze. Anzi, ho trovato la spiaggia di un lago così invitante che buona parte del tempo nelle vicinanze del vulcano l'ho passata lì, a panza per aria, a godermi un bel venticello quasi tiepido.
Da Puerto Montt sono ripartito senza troppi rimpianti. Lungo la strada per Valdivia ho visto per la prima volta dei campi coltivati. La vegetazione, salendo verso nord, era molto cambiata, come il clima. Sulla carretera Austral, per il poco che ho potuto vedere, era così rigogliosa che ricordava qualcosa di tropicale. Attraversando le Ande il clima si era fatto umido e piovoso, ma le temperature erano rimaste sempre piuttosto basse. Invece, quando sono sceso dal bus a Valdivia, che è solo poco più a nord di Puerto Montt, ho trovato improvvisamente l'estate piena. Per carità non mi sono lamentato, era da tanto che desideravo un po' di caldo, ma così all'improvviso non me l'aspettavo e il mio organismo ha avuto qualche difficoltà ad adattarsi.
Valdivia è una città universitaria, anche se gli studenti erano tutti in vacanza, molto più tranquilla di Puerto Montt e molto più turistica, ma di turismo solo cileno. Una volta uscito dalla carretera Austral non ho quasi più incontrato un turista "occidentale". I tanti tedeschi che ho visto a Valdivia e dintorni erano perfettamente tedeschi nell'aspetto ma cileni di nascita e di passaporto. In quella zona del Cile c'è stata una forte immigrazione di tedeschi fin dalla fine dell'ottocento. Non a caso è piena di birrerie.
Al mercato del pesce di Valdivia decine di leoni marini passano il tempo aspettando gli scarti e azzuffandosi ferocemente per un posto buono sulla banchina. Al sud molte agenzie turistiche offrivano escursioni a pagamento verso le colonie di leoni marini, qui mi sbadigliavano davanti alla faccia che gli potevo vedere le tonsille. Certo il mercato del pesce di Valdivia non è il loro ambiente naturale, ma in fondo sempre leoni marini sono, e se non c'erano le inferriate a separarli dal marciapiede venivano a rubarti il panino dalle mani.
Da Valdivia ho fatto un'escursione, non organizzata, verso Niebla e Corral, dove stanno ancora in piedi parte delle fortificazioni spagnole. Una giornata da turista zainetto in spalla, un po' boccheggiante per la novità improvvisa dell'estate. Alla fine del seicento gli spagnoli avevano costruito un sistema di 17 fortezze per difendere la baia di Valdivia dagli attacchi dei pirati e dei corsari, principalmente olandesi, che avevano più volte saccheggiato le colonie ripercorrendo le tracce di Francis Drake del secolo precedente. Ma dopo la costruzione delle fortezze incursioni dal pacifico non ci sono più state e i tanti cannoni, tutti puntati verso il mare, non hanno mai sparato. La beffa finale è stata che quando i cileni, nella loro guerra di indipendenza, nel 1820 hanno preso Valdivia e tutto il territorio circostante, hanno attaccato all'improvviso e da terra, e i cannoni ancora una volta si sono rivelati inutili.
Corral in particolare è un vero villaggio di pescatori, la cui atmosfera non è intaccata dai pochi turisti in visita alla fortezza. Un altro posto che avrebbe meritato almeno un giorno di sosta. Ma tant'è, la persona fisica inseguiva il nord ed è ripartita subito, la voce narrante insegue la persona fisica e fa lo stesso.


bacetto