mercoledì 31 dicembre 2008

Capodanno senza botti

E' appena passata mezzanotte e non si è sentito neanche un botto. Che bello. Hanno suonato le campane, le sirene delle navi e quelle dei pompieri. E hanno ululato tutti i cani, rendendo l'atmosfera ancora più suggestiva.
Buon anno a tutti!

domenica 28 dicembre 2008

Punta Arenas

Il viaggio verso Punta Arenas è stato lungo e abbastanza noioso. In tutto dodici ore quasi sempre dentro un bus. Tre ore complessive di sosta alle frontiere. C'è stato poco da guardare fuori dai finestrini. Sembrava che nessuno fosse interessato al paesaggio (il ragionamento dev'essere il solito: la steppa, quindi il nulla): tutti a dormire e tirare le tende. E il sole non si è visto quasi per niente.
La pioggia e un lungo tratto di strada sterrata hanno poi completamente ricoperto di fango i finestrini del mio lato e non c'è stato più quasi niente da fare. Ciononostante, pur con il poco che sono riuscito a vedere, come al solito quelle tre o quattro volte sarei voluto saltare giù dal bus a fare foto, ma anche solo a godermi la scena.
Si è fatta mezz'ora di sosta in attesa del traghetto per attraversare lo Stretto di Magellano: c'era un vento impressionante che sradicava via da terra. Mi avevano detto che per i velieri è molto difficile imboccare lo Stretto dall'Atlantico e che per loro è più semplice passare per Capo Horn. Ho capito perché!
Appena dietro il molo d'imbarco un'area delimitata da filo spinato con cartelli che avvisavano: "campo minato". Era piena di pecore che brucavano: sono stato ad aspettare che ne saltasse per aria qualcuna, ma niente.
Durante la traversata non ci hanno neanche fatto scendere dal bus. Probabilmente è stato giusto così: il vento ci avrebbe fatto volare via. Quindi ho attraversato lo stretto seduto nel sedile di un bus che era incastrato tra un tir e un altro bus. Me la ero immaginata più scenografica, questa traversata.
A Punta Arenas mi sono sistemato in un hostal familiare, dopo l'Hostel Argentino non me ne andava di finire in un posto caotico e pieno di giovani viaggiatori in festa. Però raccogliere l'eredità dell'Hostel Argentino è dura. Ne sento la mancanza e in questo posto, pur essendo per l'appunto una casa privata, ambiente familiare, compresi bambini che gattonano in giro, non mi trovo gran che bene. E poi l'edificio vicino è il night club Las Diablas (!), che fino alle quattro del mattino ci da sotto con musica ad alto volume (questo è quello che si avverte da fuori, cosa succede dentro non lo so). Praticamente sono finito nel quartiere a luci rosse di Punta Arenas, e non pensavo proprio che ce ne fosse uno.
Qui ho trovato un freddo notevole, proprio niente da invidiare all'inverno dell'emisfero Nord.


Vento magellanico, 120 Km/h

sabato 27 dicembre 2008

Hostel Argentino


Il migliore ostello del mondo, non ho nessun dubbio.
La sera che sono arrivato c'era un gran via vai di gente, chi mangiava di qua, chi chiacchierava di là, chi entrava, chi usciva, bambini che giocavano, il mio ingresso è passato quasi inosservato. Non ho afferrato bene cosa accadesse però mi sono sentito subito a mio agio. Invece di cercare di capire mi sono buttato nella mischia e sono diventato velocemente parte dell'insieme. Della famiglia, direi.
Poi piano piano ho anche capito: non c'era niente da capire, nessuna dinamica particolare, è solo che la vita dentro l'ostello si svolge in modo spontaneo, semplice e in un'atmosfera di leggerezza e di rispetto tra tutti.
Non è un ostello di soli viaggiatori. C'è gente che ci risiede stabilmente, chi stagionalmente, viaggiatori di passaggio, gente che ritorna, gente, come me, che arriva per fermarsi due giorni e si sente così bene che riparte, a malincuore, dopo dieci...
In ogni caso, sarà quello che trasmette la personalità di Graciela, che è la persona che lo gestisce da molti anni, sarà una combinazione particolare di elementi cosmicomagnetici che per entropia non casuale si sono concentrati là, fatto sta che all'Hostel Argentino si respira veramente un'atmosfera unica. Ho incontrato una serie di personaggi fuori del comune ed ho passato serate a ribaltarmi dalle risate.
Ho deciso di fermarmi anche per Natale: Quale posto migliore?
Purtroppo è una cosa bella che sta per finire. I proprietari dell'ostello non hanno rinnovato il contratto a Graciela e da gennaio lo gestiranno direttamente loro. Non sarà più un ostello, diventerà un hotel, non ci sarà più la cucina in comune e sicuramente non ci sarà più la stessa atmosfera.
Graciela ha comprato una tenda indiana, ne farà tante cose: un posto di ristoro, un punto di appoggio e un luogo di incontro per viaggiatori e non.
Mi rendo conto che Rio Grande non si trova nelle rotte di percorrenza più comuni, ma chiunque facesse un viaggio in Terra del Fuoco non tiri dritto fino ad Ushuaia. Fermatevi a Rio Grande e chiedete del Teepee de la Luna di Graciela: sarà sicuramente un posto altrettanto straordinario che l'Hostel Argentino e non perdete l'occasione di conoscere una persona come lei. Portatele un mio saluto!

domenica 21 dicembre 2008

Solstizi opposti

Oggi nell'emisfero nord è stato il giorno più corto dell'anno e nell'emisfero sud il giorno più lungo.
Qui è stata una giornata molto bella (e alle dieci di sera lo è ancora: è una giornata lunga, per l'appunto). Come una bella giornata di giugno dell'emisfero nord. Le temperature però sono allineate a quelle attualmente vigenti in europa.
Bè, però sono contento di essermi fatto il solstizio di qua.

sabato 20 dicembre 2008

Rio Grande

Un'altra città apparentemente molto tranquilla, anche se essendo molto più grande di Puerto Williams non ha la stessa atmosfera di paese dove tutti conoscono tutti. E' molto più grande anche di quanto pensassi: ci vivono 90 mila persone e la popolazione va rapidamente aumentando. Il motivo è che qui c'è lavoro, o almeno ce n'era fino a poco tempo fa. Nei dintorni c'è petrolio e in città ci sono diverse fabbriche di materiale elettronico. Esiste una legge che per incentivare le attività e il popolamento della zona concede agevolazioni fiscali alle imprese che investono qui e agli stessi residenti. Vivere qui comporta dei disagi per via del clima e della lontananza da tutto, in cambio le retribuzioni sono notevolmente più alte che nel resto del Paese. Ed in effetti si percepisce come il livello di vita sia piuttosto alto. Però ora la situazione si sta saturando ed i nuovi arrivati in cerca di lavoro iniziano a trovarsi piuttosto male. Anche qui c'è il quartiere povero di periferia, in espansione.
A una decina di chilometri c'è una grossa missione salesiana, con una scuola per agrotecnici annessa. La missione è stata fondata a fine ottocento, quando ancora nel posto sopravvivevano gli indigeni. I quali sono scomparsi nel giro di pochi anni, sterminati dalle malattie portate dagli europei ma anche direttamente ammazzati in grandi quantità, come animali. Per un certo periodo la testa di un indio veniva pagata due pesos e mezzo. E' lo stesso che si fa oggi con i castori.
Là ho incontrato Padre Juan Ticò, un personaggio notevole, che conosce tutto di questo posto, della sua storia e delle popolazioni native. A suo tempo conobbe personalmente anche De Agostini e più volte gli ho chiesto di parlarmi di lui. Ma purtroppo ha qualche problema di udito e ogni volta mi rispondeva parlandomi di un'altra cosa, ora degli indios Ona, ora della serra della scuola, ora della fauna del posto, ora della navigazione sullo Stretto di Magellano... alla fine ho smesso di fare domande e sono stato ad ascoltare quello che mi diceva spontaneamente, che era comunque interessante. Una persona da conoscere, se si viene da queste parti.

Alla ricerca del viaggio giusto

Mi avevano detto che a Rio Grande non c'era niente da vedere e nei dintorni ancora di meno, solo la steppa. La steppa mi piace e l'ho già detto, e a Rio Grande c'è da vedere Rio Grande. Cioé una città piazzata tra l'oceano e la steppa della Terra del Fuoco, così com'è, allo stato naturale, senza agenzie turistiche e visite guidate, e la cosa risulta essere molto interessante.
A Ushuaia mi ero trovato incanalato nel via vai del turismo un po' ammassato. A un certo punto ero finito, mio malgrado, in mezzo a una visita guidata di gruppo (un gruppo di italiani, per di più), e ho pensato no, non è questo che voglio.
Sono andato in alcuni posti dove si diceva che non c'era nulla da vedere, non per voler fare “l'alternativo”, ma seguendo le curiosità che avevo. Mi sono trovato benissimo a Puerto Williams e mi sto trovando benissimo a Rio Grande, sono due posti che permettono di conoscere forse il lato più vero di questa parte del mondo, anche se magari meno scenografico (ma anche questo è da vedere).
C'è da dire che avere molto tempo a disposizione favorisce questo tipo di approccio. Con tempi più ristretti si tende a seguire le rotte più turistiche e a non farsi sfuggire i luoghi più celebrati o scenografici. Però forse la tendenza a muovermi in questo modo mi appartiene, o forse l'ho sviluppata nel tempo, anche attraverso viaggi più “compressi”.
Fatto è che sono contento di essere qui e probabilmente mi fermerò un giorno in più. Per sistemare un po' di cose, le fotografie per esempio (la fotografia per il momento è l'aspetto che mi sta dando meno soddisfazione), appunti vari, scrivere email. Ma soprattutto perché sia qui che a Puerto Williams ho trovato finalmente la possibilità di rilassarmi come volevo dall'inizio del viaggio. E non ultimo perché ho trovato un ostello dove sto benissimo, una strana famiglia allargata (non come da noi che quando ti dicono "siamo una grande famiglia" sei fregato) fatta di gente che risiede qui stabilmente, di gente che ci risiede occasionalmente e viaggiatori di passaggio. Per esempio ci ho trovato un pensionato tedesco e un pensionato inglese tutti e due in moto, ognuno seguente la sua rotta. Il tedesco viaggia in Transalp, e colgo l'occasione per dare un'ottima notizia ai possessori di questa moto: 160 mila chilometri senza nessun problema. Gli ho chiesto, al tedesco, un po' scherzando, se per caso fosse passato per Vladivostok. Mi ha detto no, ho spedito la moto a Boston e vengo da lì, ma Vladivostok ci sono stato l'anno scorso passando per Russia, Mongolia e scendendo per Cina Thailandia India ecc. ecc. Al mondo gira di questa gente, e neanche poca, ne gira.
Certo rispetto al tedesco in Transalp, e non solo rispetto a lui che è motorizzato, sto andando molto lentamente. Continuando con questo ritmo non so quanto a nord riuscirò ad arrivare. Ma io sono uno lento, almeno all'inizio di ogni cosa che faccio. Poi a volte cambio il passo. Ma per accelerare semmai ci sarà tempo. Adesso mi rilasso, finalmente, ed acquisisco per bene il concetto che in questo viaggio posso, e devo, seguire soltanto quello che mi suggeriscono l'istinto e la curiosità. Sicuramente finirò di nuovo in luoghi più frequentati, ma intanto sto facendo un po' di pulizia nella testa e credo che questo migliorerà l'approccio complessivo.

La steppa

A me la steppa piace. Probabilmente il deserto e la steppa mi attraggono ancora più della montagna. E poi non è vero che la steppa, come dicono, è il nulla. E' lo spazio sconfinato, altro che nulla. Forse l'orizzonte troppo vasto può inquietare, non lo so. Per me la monotonia della steppa è solo apparente. A guardare bene non è mai uguale, c'è sempre un particolare che cambia, una sfumatura, un'ondulazione. Io mi ci incanto nei posti così.

Verso Nord

Da Ushuaia sono ripartito subito. Ormai si va verso nord, che più a sud di così non si poteva (o meglio, io non potevo: per chi può permetterselo ci sono crociere per l'antartide a partire da cinquemila dollari fino a quindicimila e oltre, a seconda della durata e delle tappe e dei servizi offerti. Ma ho visto anche dei last minute a poco più di quattromila).
Un po' mi dispiace, andare verso nord. A mezzanotte passata guardando verso sud si vede ancora luce, non fa mai notte completamernte, e già alle tre del mattino inizia a rischiarare anche verso est. Forse mi dispiace perché dopo un limite raggiunto ho un po' come la sensazione di rientrare nei ranghi. Ma probabilmente e più semplicemente mi dispiace solo di non vedere più la luce a mezzanotte: suvvia non ricamiamoci troppo sopra.
In ogni caso sono ancora abbastanza a sud e anche qui, a Rio Grande, a mezzanotte c'è ancora luce.
Ho fatto una breve tappa a Tolhuin, sul lago Fagnano, a metà strada esatta tra Ushuaia e Rio Grande. Ero indeciso se fermarmi, ma sistemazioni a buon mercato non ne ho trovate e in ogni caso forse non valeva la pena di spenderci più di qualche ora. Sono arrivato sulla riva del lago, sull'unica sponda raggiungibile, almeno dal viaggiatore come me che si muove coi mezzi pubblici. In tutta la zona del lago, a parte Tolhuin, non c'è altro insediamento umano, né sentieri segnati. Se uno vuole ci sono le solite agenzie di turismo avventuroso ed impervio che ti offrono il pacchetto completo: camion a 20 ruote motrici per raggiungere i luoghi più scoscesi, cavalcate, kajak, per chi vuole pesca del salmone e poi asado finale e festa per tutti. Basta che paghi e tutto si fa. Coi tempi che stabiliscono loro, ovviamente.
Non avendo io scelto questa opzione mi sono dovuto accontentare di quello che passava il convento: quell'unica sponda di lago e quattro fotografie, la luce che c'era c'era.
Dopo Tolhuin il paesaggio è cambiato velocemente, le montagne sono diventate colline e poi solo ondulazioni del terreno, i boschi si sono diradati, gli alberi sono diventati sempre piu' contorti e stentati e poi sono scomparsi quasi del tutto. Un passaggio veloce dalla montagna boscosa alla steppa.
Rio Grande sta in riva all'oceano ed ha la steppa alle spalle. Ciò la rende molto ventosa. A differenza del Canale di Beagle qui il vento è meno rabbioso ma più costante.

venerdì 19 dicembre 2008

I cannoni di Navarino

Vicino a Puerto Williams, in mezzo ad un bosco, ci sono ancora dei cannoni puntati contro Ushuaia. Non potrebbero funzionare più, si vede. Sono residui della quasi guerra tra Argentina e Cile alla fine degli anni 70 (tutte e due, al tempo, sotto regime militare). All'entrata del sito un cartello dice “museo storico”. Sull'altro lato del canale ce ne erano sicuramente degli altri puntati contro Puerto Williams.
L'oggetto della contesa erano tre isole e alcuni isolotti all'imbocco del Canale di Beagle, sul versante atlantico, ed era una questione che si trascinava da quasi un secolo, o probabilmente da prima, cioé da quando Patagonia e Terra del Fuoco inizirono ad essere popolate (dai bianchi, gli indigeni ci stavano già da più di diecimila anni).
Quando stai in un posto ti viene spontaneo interessarti alla sua storia. Ho chiesto un po', con delicatezza, sia sul versante argentino che su quello cileno ed ho cercato notizie su internet. Insomma alla fine la guerra non si fece, per quanto si arrivò ad un passo. Ci fu la mediazione ufficiale del Vaticano, che fece la sua proposta. Nel frattempo ci fu la guerra delle Malvinas (che in Argentina mi sembra sia ancora una ferita non del tutto rimarginata), il Cile appoggiò l'Inghilterra e la tensione tra i due paesi non diminuì. Ma l'Argentina uscì male dalla guerra delle Malvinas, e questo segnò anche la fine del regime militare. Finché nel 1984 in Argentina con una consulta popolare fu approvata la proposta di mediazione del Vaticano.
Ora la situazione è completamente cambiata, forse grandi simpatie reciproche non ci sono, ma vedere quei cannoni mi ha fatto un effetto forte. Ad essere qui sembra impossibile che trent'anni fa stessero per prendersi a cannonate. E che i due paesi al tempo fossero sotto quei regimi. Provo a immaginare ma faccio fatica.

giovedì 18 dicembre 2008

Questioni di territorio


la faccia del cavallo randagio



cavallo randagio contro cane randagio

Avevo tralasciato di dire che il cavallo aveva appena tentato un approccio amoroso con la cavalla, senza alcun pudore, in mezzo alla piazza. Forse è questo che ha irritato il cane: finché pascoli nel mio territorio passi, ma caro il mio equino le tue faccende private te le sbrighi a casa tua...

Arrivederci Puerto Williams

Andare via da Puerto Williams mi è costato un po' di tristezza, oltre che di strizza. E' un posto dove mi sono trovato immediatamente a mio agio. Forse qualcuno potrebbe non trovarci nulla di particolare e probabilmente è una questione personale ciò che si avverte in un determinato luogo. A me ha colpito la tranquillità che aleggiava tra la gente e la sensazione abbastanza forte di trovarmi in un luogo veramente remoto. E poi il paesaggio straordinario tutto intorno.
E vado via anche con un certo rammarico per non aver fatto il trekking completo. Ma tutto sommato credo di aver fatto la scelta migliore. Alla fine devo anche riconoscere di non essere un escursionista particolarmente esperto. Durante la sofferta pedalata vedevo le montagne completamente inghiottite dalle nuvole e mi chiedevo in quelle condizioni come sarebbe stato trovare i segnali del sentiero. Il giorno stesso un tedesco era partito da solo per il trekking. Ero stato molto tentato di aggregarmi ma poi avevo capito che ci teneva particolarmente a farlo da solo.
Piuttosto ho notato che i pochi che vanno per il trekking la sera dell'arrivo preparano l'attrezzatura e comprano le provviste, il mattino dopo partono, dopo quattro o cinque giorni ritornano in paese e ripartono appena possono. Secondo me si perdono molto, già che sono arrivati fin laggiù, a non fermarsi almeno un giorno in più a respirare l'atmosfera della città.
E' un posto dove mi piacerebbe ritornare, anche per saldare il conto coi Denti di Navarino. Spero che si conservi così.

La traversata in gommone

La mattina della partenza da Puerto Williams mi sono svegliato che c'era un gran vento. Sapevo che in caso di tormenta il porto di Ushuaia veniva chiuso, e in fondo se mi fosse toccato di rimanere un giorno in più non mi sarebbe dispiaciuto. Invece poi il vento sembra calmarsi e da Ushuaia arriva il via libera, quindi si parte. Un'ora e mezzo di pulmino e poi il gommone. Ma il mare non era calmo, per niente. Il pilota del gommone parlava con uno dei funzionari cileni della dogana ed ho capito che l'argomento riguardava i criteri di chiusura ed apertura del porto. I toni erano chiaramente critici, anche se non sono riuscito a cogliere i dettagli della conversazione.
In ogni caso si va. Sono quelle situazioni che quando ti ci trovi pensi: ma come ho fatto a finire qui? Onde enormi e il gommone che andava con la tecnica del surf: cavalcava un'onda, scendeva, ne prendeva un'altra, la cavalcava, ogni tanto per recuperare la rotta tornava indietro e le prendeva di petto e allora sembrava di decollare.
Ci hanno fatto mettere i salvagente, ma forse in certi casi è meglio se ti danno del piombo: se succede qualcosa si va giù a picco e non ci si pensa più, invece che che aspettare di morire assiderati.
Ora posso aggiungere al curriculum di avere attraversato con un gommone il canale di Beagle in tempesta, e, ora, posso anche dire che è stato divertente, ma mentre mi trovavo lì più di una volta ho pensato: addio babbo addio mamma addio Pezza! (Questa la capiscono bene bene solo Sebastiano e Roberto, ma tutti gli altri possono afferrare facilmente il concetto).
Arrivato a Ushuaia ho visto che tutti i catamarani erano in porto e mi è sembrato strano: se con quel mare facevano navigare un gommone perché non i catamarani? Ho preferito non farmi e non fare altre domande. Però poi la sera mi è capitato per puro caso di parlare con un tipo che lavora al porto. E questo mi ha detto che il porto era stato chiuso per tutto il giorno a tutte le imbarcazioni! Non so cosa sia successo, probabilmente l'agenzia ha fatto qualche pastrocchio con l'autorità del porto per fare comunque la traversata, o forse l'ha fatta in barba all'ordinanza. Non lo saprò mai. Piuttosto che indagare ulteriormente ho scelto di accontentarmi di essere arrivato sano e salvo.

lunedì 15 dicembre 2008

Regalo bicicletta

Per cercare di essere più libero nei movimenti ieri ho preso una bicicletta e sono andato lungo la strada costiera (credo sia l'unica strada in tutta l'isola) dove si trovano dei siti interessanti.
Non si è rivelata una grande idea. Dopo poco che sono partito ha iniziato a piovere e la pioggia mi accompagnato senza sosta per tutto il giorno. Avevo anche fatto degli errori di valutazione: lo sapevo che la strada era tutta un saliscendi e piena di buche, ma un conto è osservare da dentro un pulmino, a motore, e un conto è pedalare. Col passare del tempo e lo scendere della pioggia la strada si è fatta sempre più fangosa ed è diventato difficile avanzare anche in pianura.
Ma soprattutto il motore (le gambe) non è mai andato in temperatura. Pensavo adesso piano piano mi scaldo e poi andrà meglio, invece niente, sono andato in acido lattico alla prima pedalata e da lì non mi sono più schiodato.
E' una cosa che mi piace arrivare anche sfinito a fine giornata, quando però l'organismo ha lavorato bene e mi ha dato soddisfazione. Ieri niente: le mie gambe non sono mai entrate in partita. Di sicuro la pioggia e il freddo non hanno aiutato, ma mi sono sentito come se fosse stata la prima volta che salivo su una bicicletta.
Eppure due giorni prima mi ero fatto (a piedi) più di settecento metri di dislivello, in salita e in discesa, ed era andata piu' che bene. A questo punto mi sono convinto che non c'e' un solo muscolo in tutto il corpo che lavori sia per pedalare che per camminare.
Per il ritorno ho sperato che si alzasse il vento, almeno questa volta l'avrei avuto a favore. Ma niente. Comunque ho capito come funziona il clima da queste parti, è facile: se tira il vento si porta via nuvole e tutto. E non piove. Se non tira il vento le nuvole si fermano e piove. Tutto qui.
In tutta la giornata ho incontrato solo due automobili e molti animali: volatili di tutti i tipi, anitre anitrelle e anitroni, uccelli col becco arancione, con la schiena rossa, con la panza verde, a tinta unita, bicolori o striati, che facevano i versi più disparati. E bovini timorosi che al mio passaggio scappavano via come fossi stato il macellaio.
Sarebbe stato bellissmo anche con la pioggia se non avessi tribolato così tanto fisicamente.
A fine giornata la bicicletta la spingevo anche in pianura e ci salivo sopra solo per le discese. Sono ritornato tardissimo, e per fortuna le giornate sono lunghe, sfinito, coperto di fango fino agli occhi, bagnato fino al midollo e col sedere in lacrime.
Alla fine ho fatto neanche cinquanta chilometri, ma mi sentivo come se fossi arrivato quaggiù in bicicletta direttamente da casa mia. Se fossi andato a piedi avrei fatto molta meno fatica e forse ci avrei messo anche di meno.
In conclusione non voglio più vedere una bicicletta in vita mia. Se volete la mia ve la regalo. Sta nella soffita di casa mia, chiedete le chiavi a mia madre e portatela via.

Canile di Beagle

Sia le strade di Ushuaia che quelle di Puerto Williams sono piene di cani salsicciometiccio* che scorazzano liberamente. Anche qui la gente si prende il cucciolotto batuffolo. Poi il cucciolotto cresce e prende le sembianze di mezzo labrador e mezzo bassotto, allora non piace più e viene messo alla porta. Magari non sarà solo per un problema estetico, ma la sostanza è questa. Anche se qui la mancanza di autostrade fa si che i cani vengano abbandonati in città.
In ogni caso queste comunità di cani indipendenti sono piuttosto tranquille, sono cani adattati alla vita randagia urbana e sono impegnati in attività tipicamente canine: qualche bega territoriale, attaccare le ruote dei mezzi più smarmittati, dare la caccia ai gatti (ecco, semmai è per i gatti che butta male, infatti in giro se ne vedono pochi). E sembra che provino particolare gusto a romper le balle agli altri cani, quelli di proprietà, legati alle catene o chiusi nei recinti. La convivenza con gli umani sembra pacifica. Ogni tanto mi capita di camminare per un po' insieme a qualche salsicciometiccio, poi al tale incrocio ognuno se ne va per la propria strada, senza perdere tanto tempo in convenevoli.
A Puerto Williams mi hanno detto che però i cani abbandonati hanno due strade da scegliere: o darsi ad un tranquillo randagiato urbano oppure imbrancarsi e trasferirsi inselvatichiti sulle montagne. E in questo caso diventano pericolosi, sia per gli altri animali, selvatici e non, che per le persone. L'unica cosa buona, mi hanno detto, è che fanno fuori un sacco di castori.
I castori sono stati importati dal Canada negli anni quaranta come animali da pelliccia. Ma, non essendo qui freddo come in Canada, si sono adattati accorciando il pelo. Questa è stata la loro salvezza, perché a quel punto non erano più buoni per le pellicce. Chiusi gli allevamenti e liberati con leggereza i castori, questi si sono moltiplicati e sono diventati una calamità per le foreste che distruggono e per le inondazioni che provocano con le loro dighe.

Problemi di vita quotidiana nel canile di Beagle: stasera ho visto un randagio discutere con tre cavalli che pascolavano nella piazza del paese (a Puerto Williams ci sono anche i cavalli randagi). Evidentemente la piazza è territorio suo (del cane) ed è andato a farsi valere. Uno dei cavalli ha mollato un calcio che mi ha fatto impressione, se lo prendeva lo spezzava in due. Però ha avuto un bel coraggio, il cane.


Salsicciometiccio che presidia fieramente il territorio

* Il concetto di salsicciometiccio è stato elaborato da Stefano Benni. Io non ci sarei mai arrivato da solo.

domenica 14 dicembre 2008

Ci ho preso

Si, ci ho preso a venire a Puerto Williams. E per fortuna visto quanto mi è costato arrivarci. Si tratta solo di attraversare il Canale di Beagle, pochi chilometri, però Argentina e Cile non si piacciono e tanto meno da queste parti perché, per via di tre isole in fondo al canale, nel 1978 sono stati a un passo dalla guerra.
Quindi non esistono collegamenti di linea e bisogna rivolgersi ad un'agenzia privata, che ti traghetta con un “barco” non meglio specificato.
Alla resa dei conti il “barco” si è rivelato essere un gommone. Guardavo le varie imbarcazioni al porto cercando di capire quale fosse la mia, quando mi hanno indicato il gommone ci sono rimasto male.
Ad attraversare il canale comunque ci ha messo un attimo, e tanto più mi ha tirato il sacco: tutti quei soldi per venti minuti di navigazione!
Quando tira vento sopra una certa soglia, ed è una cosa frequente, il porto di Ushuaia viene chiuso. Il gommone di ritorno sarebbe previsto per lunedì, ma bisognerà vedere quanto vento ci sarà.
Qui mi sono trovato subito bene. Piccola città, case di legno e lamiera, strade non asfaltate, in generale qui si ha davvero la sensazione di essere in un posto remoto, molto più che a Ushuaia. La gente è estremamente tranquilla e ben disposta, mi ha colpito che per strada mi salutano tutti e spesso si fermano ad attaccare discorso. E' una cosa assai rara. Anche questo guadagna un punteggio molto alto nella clasifica dei posti più accoglienti in cui sia mai stato. Peccato il clima.
La città è nata negli anni cinquanta, prima era solo una base della marina. Ma molti militari dopo il congedo si sono fermati qui, così come altre persone che si sono trovate qua a lavorare per faccende connesse alla base. E poi piano piano è arrivata altra gente. Tutti attratti dalla tranquillità del posto, dalla lontananza da tutto e dalla possibilità di vivere semplicemente e senza stress. E rimangono solo quelli che amano veramente questo tipo di vita, quelli che rimpiangono la città non resistono e dopo un po' se ne vanno via.
Qui nessuno ti ruberà mai niente, mi dicono (e qui dove scappa uno dopo che ti ha rubato qualcosa?). E, come mi ha detto un ragazzo di Santiago autotrapiantatosi quaggiù, in un posto come questo bisogna per forza collaborare e in vivere in pace con tutti.
Se non fosse per il clima (al quale però mi dicono che ci si adatta velocemente) sarebbe da pensarci su. C'è giusto una casetta di legno e lamiera in vendita proprio vicino al mio ostello.
In tutta l'isola di Navarino vivono poco più di duemila persone. Ci sono due trekking di quattro giorni ciascuno. Non ci sono rifugi né campeggi ma solo aree parzialmente riparate dove piantare la tenda. Sono pochissime le persone che lo fanno. Non ci sono guardiaparco perché non c'è nessun parco, la zona è così poco popolata che di per sé è un enorme parco naturale. In ogni caso tutta l'isola è riserva della biosfera. Io ho rinunciato, con rammarico. Sono stato molto tentato ma ho visto che i sentieri non sono così ben segnalati ed il posto, che è sempre un posto abbastanza estremo, va affrontato con il dovuto rispetto. Addentrarmi per quattro giorni completamente da solo non mi è sembrato prudente.
Però ho seguito in parte il percorso della prima tappa e poi sono salito in alto su un crinale dove mi si sono aperte delle viste sui Denti di Navarino (una catena di montagne aguzze a forma di corona dentale: le dentature stanno caratterizzando questo inizio di viaggio) che son rimasto senza fiato. Il paesaggio incantato delle favole. Non so cosa troverò negli altri parchi della Patagonia, ma qui sono rimasto a bocca aperta.


Il canale di Beagle dall'isola di Navarino


Il paesaggio di Navarino


I Denti di Navarino


Il passerotto di Navarino

mercoledì 10 dicembre 2008

Ancora un po' a sud

Scenderò ancora, andrò a Puerto Williams, dall'altra parte del Canale di Beagle, sull’isola di Navarino, in Cile.
Ne sento parlare come di un posto dove non c’è niente, ed è proprio questo mi attira. E poi cosa vorrà mai dire che non c’è niente? Visto che è una città, almeno le case ci saranno.
Sono abbastanza saturo di Ushuaia, non solo perché sono stato trattenuto qui da vari problemi. E’ questa concentrazione di offerte e servizi per turisti, e di turisti, che inizia a stancarmi. Sembra proprio che qui non si possa fare niente senza comprare un biglietto: un passaggio, un’escursione, una visita guidata, un ingresso. La necessità di mettere mano al portafogli è incalzante e, a parte i soldi che si spendono (a parte fino a un certo punto, poi), inizio a provare la sensazione sgradevole di essere solo un turista da mungere. E in cambio di tutti questi biglietti non sto ricevendo poi molto. Almeno non quanto mi aspettavo.
Insomma in mezzo a questo viavai di gente e di pulmini, tra tutti questi ristoranti e negozi, non riesco a percepire l’atmosfera di un posto remoto. O di frontiera, come si usa dire.
Ma lo scenario intorno, le repentine variazioni del clima, il vento feroce che si alza all’improvviso, le giornate interminabili, la luce che illumina sempre il cielo da sud, anche in piena notte, e poi la consapevolezza del punto geografico in cui mi trovo, oltre il quale ancora pochi chilometri di terre selvagge e quasi disabitate e poi l’Antartide, tutto questo si che la suggerisce la sensazione di una terra estrema. Forse si tratta solo di uscire da questa città.
Dove intanto, in cima ad una collina, stanno costruendo un nuovo gigantesco orribile hotel, credo uno Sheraton.
Sono andato all’estancia Harberton, un sito molto importante nella storia di queste parti.
Una delle proposte più gettonate era: navigazione in catamarano sul canale con passaggi nei pressi di colonie di pinguini e leoni marini, approdo all’estancia e visita della stessa, trasferimento in fuoristrada fino ad un fiume all’interno, escursione in kayak sul fiume e per finire asado per tutti. Ottimo rapporto tra offerta e prezzo, me l’hanno consigliata in molti.
Io ho cercato il limite inferiore: ho trovato un semplice passaggio con un pulmino, andata e ritorno fino all’estancia, che si trova a circa 90 chilometri da Ushuaia. Ero soddisfatto, nel pulmino eravamo solo in tre. Ma l’unica possibilità di vedere l’estancia si è poi rivelata essere la visita guidata di gruppo (a pagamento naturalmente), e così sono stato aggregato a una compagnia che era appena sbarcata da un catamarano. Ed erano tutti completamente italiani.
Lì mi sono detto basta.
Qui c’è un turismo rapido. Come è normalmente il turismo. Gente che ha i giorni contati e che vuole vedere tutto il possibile, prima del volo o del bus già prenotato per un’altra località, con il viaggio di rientro già fissato. Ma io invece questa volta ho il tempo. Mi sono ritrovato quasi inghiottito da questa frenesia, ma non mi piace e voglio tirarmene fuori.
Per questo andrò a Puerto Williams. E anche, o forse soprattutto, perché là vive l’ultima discendente pura di una delle quattro popolazioni native della Terra del Fuoco. Chissà che non possa conoscerla. A Ushuaia c’è un piccolo museo dedicato a loro. Piccolo veramente, sono solo tre stanze. Pochi reperti ma molte spiegazioni. E’ una storia che mi ha impressionato.


L'estancia Harberton

La libertà di movimento e la fotografia

Il paesaggio richiama, ma è difficile rispondere. Da dentro la città, buttando lo sguardo verso l’esterno, viene la voglia di esplorare, di spostarsi, di risalire, di costeggiare, di attraversare, di andare a vedere... Ma i mezzi di trasporto che mi posso permettere, oltre al camminare, che non mi porta molto lontano in questi luoghi, o il pedalare noleggiando una bici, stesso discorso del camminare, sono quelli di linea o i vari servizi di pulmini turistici. La mia disponibilità economica non mi permette di noleggiare automobili, se non una volta ogni tanto e possibilmente trovando qualcuno con cui condividere le spese. E così il paesaggio lo vedo per lo più dal finestrino del bus o del pulmino, o sbirciando tra le case e le vie della città, o camminando per qualche chilometro lungo la costa o verso la montagna. Ma così non sazia. Vedo posti dove vorrei tanto fermarmi, o strade secondarie in cui vorrei tanto inoltrarmi, ma non si può.
A parte la nuova macchina fotografica con cui non mi trovo per niente, questo è il vero limite alla possibilità di fare le foto che vorrei. Di provarci almeno. Inizio ad essere pessimista sopra alla possibilità di combinare qualcosa di buono.
Bisognerebbe potersi trovare nel posto giusto, al momento giusto e con la luce giusta. Ma io non ho questa libertà di movimento. Qualche volta le condizioni mi sembrano quelle giuste o quasi, ma sono dentro un bus, che non si ferma. Ciò è frustrante.
Sono stato al Parco Nazionale della Terra del Fuoco. Si trova a pochi chilometri da Ushuaia, c'è un sevizio di pulmini che ti portano e ti vengono a riprendere (a pagamento naturalmente). Però l'ultimo pulmino riparte alle sette di sera, quando la luce diventa migliore. Avrei potuto piantare la tenda e dormire là, però la mattina dopo avevo appuntamento col dentista. Bah.


Parco Nazionale della Terra del Fuoco


Pericolosi abitanti del parco

domenica 7 dicembre 2008

Ho conosciuto il vento

Non era saltata l'otturazione ma si era staccato un altro pezzo di dente, il quale, considerando il pezzo già mancante, era piuttosto fragile. Adesso lo è ancora di più. Il dentista ha detto che andrebbe incapsulato, ma per fare ciò mi dovrei fermare a Ushuaia ancora per un bel po' di tempo.
Per cui per nei prossimi mesi dovrò fare attenzione e sperare in bene.
Comunque, se può interessare, il dentista ha rilasciato regolare fattura.
Gli appuntamenti con lui però mi spezzano le giornate e non ho la possibilità di fare gran che.
Ieri ho camminato per qualche chilometro lungo la costa. Mentre ritornavo si è alzato all’improvviso il famoso vento di queste parti e così ho potuto conoscerlo di persona. Sono folate violente che ti portano via, e non è un modo di dire. A parte la polvere che ho mangiato, in certi momenti non riuscivo letteralmente ad avanzare. L’ora dell’appuntamento col dentista si avvicinava e io arrancavo lentissimo. Non avrei mai pensato di poter far tardi a un appuntamento a causa del vento contrario: questa proprio mancava al mio vasto campionario di scuse per giustificare i soliti ritardi. Alla fine ho deciso di chiedere un passaggio e per fortuna dopo poco un gentile signore mi ha riportato direttamente in città.
Ho fatto qualche foto, ma il problema non era tenere ferma la macchina fotografica, quanto di rimanere ancorato a terra con tutta la mia persona.
In compenso però non avevo mai sputato così lontano.


Il canale di Beagle controvento

sabato 6 dicembre 2008

Cronache dentali

Aspettate a venire dal dentista in argentina: mi è appena saltata l'otturazione...

venerdì 5 dicembre 2008

Cerro Olivia

Una delle mie idee per questo viaggio era di seguire le tracce di Alberto Maria De Agostini, missionario in Terra del Fuoco e Patagonia ed esploratore.
Appena arrivato ad Ushuaia, delle tante montagne che la circondano sono stato colpito da una per la sua forma particolarmente aguzza.
Anche De Agostini appena arrivato ad Ushuaia, nel 1910, ha notato la stessa montagna, che si chiama Cerro Olivia. Siccome la bella stagione era quasi finita e non c'era più tempo per esplorazioni più succulente, in mancanza di meglio l'ha scalata. Allora era inviolata.
Le tracce di chi volevo seguire, io?


L'appuntito cerro Olivia (quello a sinistra, l'altro è il cerro Cinco Hermanos)

mercoledì 3 dicembre 2008

Chi avrebbe mai pensato di finire da un dentista di Ushuaia.
Con il Canale di Beagle fuori dalla finestra invece che Corso Carlo Alberto...

martedì 2 dicembre 2008

Ushuaia

Mi piace guardare dal finestrino dall’aereo, ma forse preferisco che sotto ci sia un territorio non troppo precisamente identificabile perché poi, quando dall’alto della quota di crociera avvisto uno dei luoghi che avevo sempre sognato di vedere, il più delle volte ci rimango male. Mi era già capitato pochi giorni fa con le cascate di Iguazù, che da là sopra mi erano sembrate una bagnarola, e mi è successo ora durante il volo da Buenos Aires a Ushuaia con lo stretto di Magellano. Ah bè, eccolo, tutto qui? Certo, da lassù sembrava di guardare una carta geografica. I luoghi più sognati preferisco vederli per la prima volta da una prospettiva più terrestre.
La discesa verso Ushuaia invece è stata ad effetto. Questa parte del mondo si è presentata coerentemente con l’idea selvaggia ed impervia che ne avevo e i celebri venti hanno sbatacchiato l’aereo senza nessun riguardo. Di solito non ho paura di volare ma questo atterraggio mi ha fatto un po’ sudare freddo. In mezzo a nuvole basse, raffiche di vento e sfiorando montagne, con l’aereo che virava e rivirava, scendeva e risaliva... Quando si entrava dentro una nuvola il pensiero delle montagne appena lì sotto, o forse lì davanti... Appena toccato terra, per la prima volta è venuta anche a me la voglia di applaudire il pilota.
La città è notevolmente turistica, però, forse sarà la mia suggestione di trovarmi finalmente in questo luogo geografico, mi sembra che mantenga ancora l’atmosfera di un luogo remoto. A Sud, a parte una cittadina cilena sull'altro lato del canale, non ci sono altri posti abitati, e a mille chilometri, che in fondo non sono così tanti, c'è l’Antartide.
Lo scenario è notevole. Circondata dalla Catena Martial e sullo sfondo, verso ovest, la Cordigliera Darwin, appendici meridionali delle Ande. Di fronte, sull’altro lato del canale, l’isola di Navarino.
Qui, dopo i giorni di relax, relativo, a Buenos Aires e la visita alla famiglia, posso dire che il mio viaggio è veramente iniziato. Anche se mi sento le batterie un po’ scariche. Passando dai 40 gradi di Buenos Aires ai non so quanti, ma pochi, di qui, il mio fisico sta borbottando.
Me la prenderò comoda, visto che non mi corre dietro nessuno.
Solo che stamattina, per cominciare bene la giornata e l’avventura, mi si è spezzato un dente...


Ushuaia verso sera

Mendoza (e poi di nuovo Buenos Aires)

Il tema ricorrente di Buenos Aires è stato il continuo sentirmi ripetere di fare attenzione a furti e rapine. A me non è successo nulla di spiacevole, ma evidentemente il problema c’è e deve essere anche serio.
Me ne ha dato la misura, per esempio, anche il fatto che uno dei nipoti che ho conosciuto a Mendoza si è appena trasferito da Buenos Aires e sta cercando un lavoro. Ha lasciato un’attività che gli stava andando bene e sulla quale aveva investito, ma di Buenos Aires, dei suoi ritmi e della sua insicurezza era arrivato a non poterne più e piuttosto che restare là ha preferito mollare tutto e ricominciare da zero da un’altra parte.
Mendoza è un’altra cosa, si avverte immediatamente. Buenos Aires a volte si può confondere con una città europea, pur con le sue baraccopoli, una delle quali in pieno centro, a due passi dalla stazione dei bus. A Mendoza invece risulta chiaro che non ci si trova più in Europa, anche a chi fosse ancora frastornato dal lungo viaggio. I vecchi edifici coloniali non esistono più, sono stati abbattuti dai tanti terremoti che hanno sempre colpito questa zona, ma la struttura della città è rimasta divisa in un reticolo di strade perpendicolari. Chiedendo un’informazione nessuno ti spiega le distanze in metri. L’unità di misura urbana è la quadra, cioè il numero di lati degli isolati che dovrai percorrere prima di giungere a destinazione, o svoltare.
Il centro è pieno di bei viali alberati, ed il ritmo della vita che scorre sembra decisamente meno veloce rispetto a quello di Buenos Aires. Parallela a tutte le strade scorre una rete di canali profondi. Molto profondi, a finirci dentro ci si può fare molto male. Senza questa canalizzazione il territorio sarebbe completamente desertico. E’ un’opera incredibile che ha origini molto più antiche della colonizzazione: è stata costruita dagli indios Huarpes, che abitavano la zona da molto tempo prima dell’arrivo degli spagnoli.
Dopo Mendoza ritornare a Buenos Aires mi ha reso ancora più evidente il ritmo accelerato della capitale. Non siamo ai livelli europei, ma ci manca poco.
Quando ho detto a Sergio che sarei voluto andare alla Boca mi ha risposto qualcosa come: se proprio ci tieni. Mi ha lasciato un po’ perplesso, ma quando poi sono andato ho trovato solo due vie corrispondenti alle immagini che avevo sempre visto: una piena di bar e ristoranti per turisti con ballerini di tango a pagamento e l’altra piena di artisti che vendono i loro quadri raffiguranti scene, per l’appunto, di tango. Il tutto lungo al massimo due o trecento metri. Il resto è un quartiere malandato, povero, pericoloso e puzzolente per via delle acque putrefatte di una vicina vecchia zona del porto abbandonata. Mi immaginavo di trovare l’anima di Buenos Aires e invece ho trovato una trappola per turisti. Anche se non discuto che la vera Boca, quella senza le case colorate di fresco, lo sia veramente, o che lo sia stata, l’anima della città. O una delle anime.
A me pare che l’anima di Buenos Aires aleggi su un po' tutta la città e non in un quartiere o in una zona particolari. Ho avuto la sensazione di una città complessa, affascinante e piena di problemi, dalla percezione dei quali però non sono riuscito a distaccarmi durante il mio soggiorno da visitatore.