lunedì 27 aprile 2009

Racconti arretrati

Da Cafayate fino a Salta ho quasi sempre avuto compagni di viaggio più o meno fissi. All'inizio è stato in parte un caso perché lungo la via delle valli Calchaquies i mezzi di trasporto sono rari e le tappe quasi obbligate ed è inevitabile ritrovarsi sempre tra le stesse persone. Tra Angastaco e Molinos, in particolare, trasporti pubblici non ci sono proprio e bisogna contrattare un passaggio in auto con qualcuno del posto. Fare autostop in questo tratto può essere dura: può capitare che in una giornata intera non si incontri nessuno che lo percorra per intero e ad essere lasciati per strada si rischia di finire arrostiti sotto il sole.


Tempesta a Cachi

Poi a Salta, insieme a Sylavain, un francese con cui mi ero trovato in buona sintonia, abbiamo deciso di noleggiare un'auto per quattro giorni, per avere una volta tanto la libertà di muoverci, e di fermarci, a nostro piacimento.
E così siamo partiti in direzione di San Antonio de Los Cobres, verso la cordigliera. La strada sale quasi sempre affiancata al percorso di un'altra ferrovia il "tren à las nubes".

Tren à las nubes
Il ferrocarril trasandino del nord. Collega Salta con il porto di Antofagasta, in Cile, ed attraversa la cordigliera spingendosi fino alla quota di 4.200 metri. Gli studi per la realizzazione iniziarono nel 1889, i lavori nel 1921 e la linea completa fu inaugurata nel 1948, dopo mille difficoltà finanziarie, tecniche e politiche: tra il concepimento del progetto e la realizzazione passarono 59 anni. Anche questo fu uno sforzo enorme per l'epoca e considerata l'altitudine, il clima estremamente rigoroso e i mezzi a disposizione i lavori furono particolarmente duri. Il tracciato, oltre ad attraversare ponti, viadotti arditi e tunnel, per superare le pendenze più forti sale a zig-zag. Il treno in questi punti marcia avanti e indietro: prima dei tratti più ripidi retrocede su una via inclinata parallela al binario principale per prendere la rincorsa e poi si lancia di nuovo in avanti a tutta birra fino a svalicare. Se non ce la fa ripete l'operazione.
A partire dagli anni 70 si iniziò a sfruttarlo turisticamente. La mia guida parlava di un treno merci ancora attivo che arrivava fino al Cile e che offriva anche un servizio passeggeri molto spartano, ma pare che ormai anche questa linea sia definitivamente interrotta. Rimane solo il treno turistico, che arriva fino al famoso viadotto de la Polvorilla (se cercate su google "tren a las nubes" vi escono migliaia di fotografie di questo ponte di ferro), una ventina di chilometri dopo San Antonio de los Cobres, e rientra a Salta in serata. In tutto una quindicina di ore di viaggio a una media di meno di quaranta chilometri all'ora, che si pagano piuttosto salate. Il treno è dotato di tutte le comodità e gli intrattenimenti. Guide che illustrano i passaggi salienti in varie lingue, ristorante, musica, video, spettacoli folcloristici, medico per eventuali problemi dovuti all'altura, e ad ogni fermata l'offerta di specialità ed artigianato locale da parte della gente del posto. In realtà anche il treno turistico negli ultimi anni circola a fatica. Nel 2005 un'avaria al locomotore lasciò cinquecento turisti bloccati in mezzo alle montagne, non esistendo una locomotiva di riserva né un piano di evacuazione di emergenza. Il treno ha ripreso a funzionare nel 2008, ma ora è di nuovo fermo a causa delle piogge forti e fuori stagione che sono cadute nella zona negli ultimi mesi e che hanno danneggiato parti del tracciato. Sembra che la circolazione riprenda nel mese di maggio.

La strada e la ferrovia salgono lungo la quebrada del Toro, un'altra valle scenografica. Nella parte più bassa circondata da montagne verdi, salendo l'ambiente si inaridisce velocemente. I cactus e gli arbusti prendono il posto degli alberi, le montagne si fanno brulle e colorate ed il terreno si fa sabbioso. In mezzo a questo paesaggio incontriamo un cimitero isolato, senza nessun villaggio nelle vicinanze. Come se i defunti avessero deciso loro di andare a stabilirsi là.



Per la pausa pranzo ci fermiamo a Santa Teresa de Tastil, un villaggio minuscolo di popolazione esclusivamente autoctona. Quando stiamo per ripartire il proprietario della locanda dove avevamo mangiato ci chiede se avevamo visto le rovine. Quali rovine? Io non ne sapevo nulla, ma neanche il mio compagno di viaggio che normalmente era molto più documentato di me. Sicché il locandiere ci fa da guida e ci accompagna alle rovine di una grande città preincaica arroccata tra le montagne a poche centinaia di metri dal villaggio. Alla nostra guida chiedo a che epoca risale, quale popolazione la abitava, quando fu abbandonata, se fu assoggettata all'impero inca. Ma lui ne sapeva poco, solo continuava a raccogliere per terra punte di frecce di ossidiana. In seguito ho cercato notizie sopra alla città, ma ho trovato ben poco. Pare fosse abitata da circa duemila persone e che fu abbandonata intorno al 1.400 per non si sa quali motivi, ma non si trattò né di una guerra né di un'epidemia.


la locanda di Santa Teresa de Tastil


le rovine di Tastil (dietro il cactus)

Ripartiamo portando con noi due donne che ci avevano chiesto insistentemente un passaggio fino a San Antonio de los Cobres. La strada ha continuato a salire fino ad attraversare un passo dopo il quale siamo sfociati nella puna, l'altipiano andino di alta quota stepposo, arido, colorato, orlato dalla cordigliera e attraversato da cordoni di montagne tra cui diversi vulcani, eroso dallo scorrimento dell'acqua, ricco di saline e lagune, che si estende dalla provincia di San Juan e prosegue in Bolivia. Una forte sensazione di rarefazione. Al di là dell'effettiva rarefazione dell'aria.


la rarefatta puna

L'imprevista sosta archeologica ci ha pregiudicato la possibilità di raggiungere il Salar Grande, una lago salato dove volevamo piantare le tende, e quindi abbiamo passato la notte a San Antonio de los Cobres, una città mineraria quasi impressionante, sperduta in mezzo alla puna. Per San Antonio il treno turistico è una risorsa notevole. Nella città esiste una tradizione antica di lavoro di tessitura da parte delle donne. I turisti del treno sono ottimi compratori. A tal proposito, le due gentili signore, per ringraziarci del passaggio, ci hanno venduto due berretti di lana fatti a mano ad un prezzo che poi si è rivelato essere molto più alto di quello corrente in zona per prodotti simili. I berretti però almeno si sono rivelati molti utili nel freddo serale e primomattutino. Approfittando dell'ultima luce ci siamo spinti un po' oltre San Antonio, lungo una strada ai limiti del possibile per l'utilitaria che avevamo, fino al viadotto della Polvorilla, il punto di passaggio più spettacolare ed elevato della ferrovia, a 4.200 metri. Ho retto abbastanza bene all'alta quota, considerato che era la prima volta nel corso del viaggio che arrivavo così in alto, anche se poi la sera ho pagato con un po' di mal di testa. Sono riuscito ad arrampicarmi sul dirupo che portava sopra al ponte senza morire, anche se mi dovevo fermare di continuo per prendere aria. Che però non c'era. Sono solo una sessantina di metri di dislivello, ma a quella quota e senza acclimatamento è una faccenda impegnativa.
Ho attraversato il ponte. Sul lato da cui sono partito c'era un cartello illeggibile. Sull'altro lato lo stesso cartello era leggibile, e c'era scritto che era vietato attraversare il ponte. Di certo non c'era nessuno a farmi la multa, però effettivamente è stata una passeggiata vertiginosa, e infatti mentre camminavo lungo il ponte, tenendomi quasi sempre rigorosamente al centro dei binari, pensavo: ma perché non è vietato fare quello che sto facendo?

La parte migliore della libera escursione automobilistica è stata la seconda giornata, quando abbiamo attraversato la puna. Lo è stata per noi noi ma non per l'automobile, che ha dovuto affrontare tutt'altre strade rispetto a quelle per cui era sta progettata. Sembrava di essere in un'altra dimensione. Il paesaggio sembrava rarefatto come l'aria. In tutta la giornata abbiamo incrociato due auto e un camion, per quanto riguarda l'universo della mobilità umana. Il traffico animale invece era molto più intenso: nandù (cugini degli struzzi), vigogne, lama, e tanti liberi somari della steppa. Non so perché ci fossero tanti somari. Forse sono scappati dalle miniere.


traffico sulla Ruta 40


i liberi somari della puna

Alcuni minuscoli villaggi e alcune case isolate. Davvero un altro mondo (rispetto a quello che sono abituato a frequentare). In uno dei villaggi abbiamo cercato di parlare con dei bambini che pascolavano capre. Non è stato facile, parlavano con un accento che non riuscivamo a capire, così come per loro era difficile capire noi. Erano curiosi e sembravano timorosi allo stesso tempo. Guardavano le nostre macchine fotografiche come fossero oggetti misteriosi, e probabilmente un po' anche le nostre persone.





Nella mia ignoranza geografica avevo sempre associato la Ruta 40 alla Patagonia, invece attraversa tutta l'Argentina fino quasi al confine con la Bolivia. Ne abbiamo percorsi gli ultimi cento chilometri e ne avevamo percorso dei tratti tra le valli Calchaquies. Ad un certo punto abbiamo incontrato una donna che faceva autostop. Non un timido chiedere un passaggio con il dito pollice alzato: si era piazzata in mezzo alla strada e sbracciava. Non poteva lasciarsi sfuggire la forse unica auto della giornata. L'abbiamo caricata ma con il proposito di non comprare berretti di lana. Stava aspettando da tre ore ed è stata fortunata. Viveva nel minuscolo villaggio a qualche centinaio di metri dalla strada, che non avevo neanche notato per via del colore delle case, costruite con mattoni di adobe (fango e paglia seccati al sole) che si confondeva con quello del terreno. Nel villaggio è nata ed ha sempre vissuto, e probabilmente non si è mai allontanata di molto dalla puna. Stava andando a trovare la figlia ad Abra Pampa, il paese dove sfocia la Ruta 40. Anche con lei è stato difficile comunicare, per via dello stesso accento dei bambini. Sapevo che da queste parti c'è ancora gente che parla il quechua, la lingua degli Inca. Ho pensato che questo accento potesse essere l'inflessione quechua, ma l'ho considerata più una fantasia che un'ipotesi. In seguito invece mi è stato confermato che era proprio così.
Questa è ancora un'altra Argentina, molto diversa anche da quella, pur popolata prevalentemente da autoctoni, della zona di Cafayate e delle valli Calchaquies. Qui è veramente un posto lontano da tutto, abitato da gente radicata in una cultura remota, che vive una vita povera e dura in un ambiente dove, per uno che non ci è adattato, è difficile anche respirare.
Anche ad Abra Pampa, che è un centro più grande, l'atmosfera era strana. Sono ripartito con la sensazione di qualcosa che mi sfuggiva. Non è un posto molto invitante, sicuramente non dal punto di vista turistico. Povero, polveroso e scolorito. Sicuramente autentico, su questo non c'è dubbio. Le solite difficoltà, linguistiche e non, per comunicare con la gente. Che non era ostile, ma ci guardava con uno sguardo che io interpretavo come "ma cosa sono venuti a fare fin quassù, questi due?". Gente che sicuramente non si apre al primo impatto, quello che noi non abbiamo superato nel poco tempo che ci siamo fermati. Sarebbe stata necessaria una sosta più lunga per afferrare qualcosa del posto, e per dare il tempo alla gente, se lo desiderava, di studiarci meglio e di aprirsi un po'.

Siamo ridiscesi per la via "principale", quella che viene dalla Bolivia ed attraversa la celebrata quebrada de Humahuaca. Io mi aspettavo qualcosa di un po' più selvaggio, tipo la quebrada de las Conchas, invece è una valle molto più grande, larga, ed è attraversata da una strada importante. Intorno montagne piuttosto imponenti. L'evoluzione geologica ha disegnato linee a zig-zag e i chissà quanti metalli in mezzo alle rocce le hanno multicolorate.



Però venendo dalla puna e da quel mondo rarefatto sono rimasto un po' deluso. Non tanto dal luogo fisico, però mi ha lasciato un po' male la strada ed il notevole viavai turistico che di nuovo ho incontrato lungo la tutta la valle.
Ma comunque, la quebrada è patrimonio culturale dell'umanità perchè vi si conserva uno stile di vita rimasto inalterato per secoli. Così dicono. Nei centri più grandi (Humahuaca, Tilcara e Purmamarca) si notavano soprattutto le bancarelle di prodotti tessili artigianali. Sicuramente questo commercio va a vantaggio della popolazione locale, però gli autoctoni venditori vestivano abiti occidentali mentre i turisti vestivano di colorati tessuti andini appena comprati nelle bancarelle. I conti non tornavano proprio tutti. Possibile che negli anfratti laterali della valle, nei villaggi più isolati, le cose siano differenti e che le tradizioni e lo stile di vita patrimonio dell'umanità siano realmente vive.



In ogni caso non si tratta di uno stile di vita preispanico, ma piuttosto di quello che si è creato dalla mescola tra i primi spagnoli arrivati in zona e la popolazione indigena. Avrei voluto approfondire meglio l'argomento. Comunque, da quanto sono riuscito a capire, queste zone, dopo l'arrivo della prima ondata di colonizzazione spagnola, sono state oggetto soprattutto di uno sfruttamento minerario (la stessa cosa che era successa non molto tempo prima con l'assoggettamento all'impero Inca). Gli spagnoli da qui hanno prelevato oro e altri metalli, ma non vi hanno mai creato insediamenti importanti. Sono zone aride, a parte gli stretti fondovalle non ci sono altre opportunità per l'agricoltura e sicuramente costringono a condizioni di vita piuttosto dure. Sicché dopo il primo insediamento non sono seguite altre ondate migratorie ed il risultato della prima mescolanza si è mantenuto intatto nei secoli seguenti. E così il cristianesimo ha fatto anche qui il suo ingresso ma non ha soppiantato le tradizioni e la religione preesistenti, piuttosto si è creata una miscela in cui convivono e spesso si fondono le processioni dedicate ai santi e i riti dedicati alla Pachamama, la madre terra, la divinità più ancestrale. Così come preti e chiese convivono con stregoni e i riti magici e le farmacie convivono con il curandero.
A Humahuaca c'è un museo molto interessante che spiega approfonditamente gli aspetti di questa cultura. E' un museo privato messo in piedi da un personaggio locale, che però ci tiene moltissimo a specificare che lui non è uno storico. Tante volte infatti gli ho chiesto notizie storiche sulla zona e lui insistentemente non me le dava. Ti posso raccontare solo il modo di vita di queste parti, mi diceva.

Nella ridiscesa verso Salta segnalo la notte passata a Jujuy per l'ostello in cui mi sono trovato peggio durante tutto il viaggio e per un temporale che mi ha quasi messo paura. L'ostello tracimava di giovani vocianti, allegri, festanti, euforici, il tutto a parere mio abbastanza eccessivo e ingiustificato. Ho dormito al terzo piano di un letto a castello. Se guardavo in basso mi venivano le vertigini quasi come sul viadotto della Polvorilla e l'operazione acrobatica di sistemare le lenzuola sul letto sarebbe stata pericolosa anche per un alpinista professionista. Appena arrivati è scoppiato un temporale furioso e in pochi minuti la strada è diventata un fiume in piena. Ho portato la macchina in salvo in un parcheggio coperto, ma non è stato per niente bello guidare in mezzo a quel fiume. In certi momenti ho davvero avuto paura che mi portasse via. All'interno dell'ostello c'era più umidità che fuori e la mattina seguente sia io che i miei vestiti eravamo più bagnati della sera prima.
Il tratto tra Jujuy e Salta l'abbiamo fatto lungo una bellissima strada secondaria di montagna, attraverso un' altra vera foresta tropicale. La strada ci era stata descritta come difficile e pericolosa e per questo l'abbiamo affrontata con un certo timore, anche per via della pioggia del giorno prima. Invece era in condizioni perfette e a differenza di come pensavo era completamente asfaltata. In mezzo alla foresta mi aspettavo che da un momento all'altro il paesaggio cambiasse all'improvviso e ci ritrovassimo di nuovo in mezzo ai cactus. Non è successo, però è veramente notevole la variabilità di ambienti che si incontra in questa zona dell'Argentina.

A Salta ho deciso di fermarmi per un paio di giorni. Le ultime settimane le avevo passate ad un ritmo troppo serrato per i miei gusti e nemmeno il fatto che di tempo ormai me ne rimanesse poco mi stimolava a proseguire alla stessa velocità. Anzi, tanto più sentivo la necessità di fare una sosta. Sylvain invece è ripartito subito per la Bolivia. Purtroppo la sosta si è prolungata abbastanza oltre il previsto a causa di un altro problema gastrointestinale. La fase acuta è stata breve ma mi ha lasciato per diversi giorni completamente privo di forze. Quando mi è sembrato di stare meglio sono ripartito verso la Bolivia, però ho deciso di fare una sosta intermedia, di nuovo a Humahuaca, che si trova a circa tremila metri di quota, per vedere come reagiva il fisico all'altura. Nei giorni precedenti avevo passato alcuni giorni in quota e dovevo essere già abbastanza acclimatato, ma non ero ancora sicuro di essere del tutto a posto. Ed in effetti mi sono di nuovo sentito giù di forze ed ho aspettato per salire ancora. Ho fatto bene, perché poi quando il giorno dopo, questa volta sentendomi bene, sono arrivato a La Quiaca, la città argentina al confine con la Bolivia, ho trovato la strada bloccata da una manifestazione. Mi sono dovuto fare alcuni chilometri a piedi, a pieno carico e a 3.500 metri. Se mi fosse capitato il giorno prima sarebbe stata molto dura.
Risalendo ho ripercorso di nuovo tutta la quebrada de Humahuaca, da solo, e l'ho apprezzata di più rispetto al primo passaggio. I colori delle montagne in alcuni punti hanno veramente dell'incredibile. La stessa città di Humahuaca l'ho trovata molto più gradevole. C'è da dire che nel precedente passaggio ero capitato in piena settimana santa, in un momento di picco turistico. Ora l'atmosfera era molto più tranquilla. Ma devo anche dire che viaggiando da solo probabilmente sono più ricettivo, o forse semplicemente presto più attenzione.

3 commenti:

  1. non un comento ma un saluto, ogni tanto leggo qualche riga e mi fa pacere leggere quello che scrive un saluto mtm

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  2. ciao molto bello il racconto della tua esperienza e soprattutto mi ha incuriosito perchè cercavo informazioni su santa teresa di tastil e per ora non ho trovato ancora nulla...se magari hai qualche informazione in più mi saresti di grande aiuto...Diletta

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  3. ciao Diletta, se vuoi puoi contattarmi a questo indirizzo:
    r.picciafoco@gmail.com

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