mercoledì 29 aprile 2009

Bolivia

Due parole sulla Bolivia le voglio spendere, anche se velocemente, che se poi scrivo da casa non vale più.
Di tempo non ne avevo più molto e il problema gastrointestinale di Salta me lo ha ulteriormente accorciato, anzi aveva messo in dubbio la stessa possibilità di andare. Per cui sapevo che sarebbe stato un passaggio rapido ed ero abbastanza rassegnato a conoscere solo la bellezza naturale del salar de Uyuni e poco più. Però appena ho messo piede in Bolivia, letteralmente appena attraversata la frontiera, ho avvertito che si trattava di qualcosa di totalmente diverso. Una permanenza di una settimana è troppo breve per poter capire un paese, però la Bolivia trasmette immediatamente qualcosa di forte, o almeno a me lo ha trasmesso. Per uno che viene dall'Europa il contatto con Argentina e Cile non è traumatico, con la Bolivia potrebbe esserlo. Si entra veramente in un altra realtà. Il poco che sono riuscito a conoscerne mi ha lasciato la voglia di ritornare. Dal poco paesaggio che ho potuto vedere in una settimana sono rimasto incantato dal primo all'ultimo minuto. Già durante il viaggio in treno dalla frontiera a Tupiza ho sempre guardato fuori dal finestrino a bocca aperta. In pochi chilometri mi è passato davanti di tutto, il deserto, valli verdissime, la steppa, la foresta, le montagne. Quasi difficile da digerire sensorialmente, tutta questa stimolazione visiva.
A Tupiza ho cercato un'escursione per il Salar de Uyuni, ed alla fine sono capitato in mezzo ad un gruppo di olandesi. Bella gente. Alternative all'escursione non ce n'erano. Sicuramente non per i tempi che avevo io, però credo che in generale fare lo stesso itinerario autonomamente sia molto difficile, e costoso. Occorre per prima cosa un fuoristrada, ma veramente fuoristrada (meglio di tutto sarebbe forse un trattore) in perfette condizioni, un'ottima cartografia e, visto che ormai esistono queste cose, un ottimo GPS. E non sono sicuro che tutto questo basterebbe. In certi casi la guida che conosce il posto può essere insostituibile. La cosa veramente ideale sarebbe forse quella di potersi permettere una guida tutta per sé e molto tempo a disposizione. In realtà il solo problema dell'escursione, anche se non da poco, sono stati i tempi troppo serrati. In quattro giorni abbiamo percorso 1.200 chilometri di sterrati terribili e le soste per forza dovevano essere brevi. Ho fatto presente la cosa alla guida e all'agenzia, mi hanno risposto che avevo perfettamente ragione e che condividevano, ma che però la domanda è questa. Il turista ha sempre i giorni contati e vuole fare tutto il più rapidamente possibile. Di fatto, mi hanno detto, la stessa escursione proposta in sei giorni invece di quattro non l'avrebbe comprata nessuno, sarebbe stata uno spreco di tempo. Il concetto dei giorni contati è relativo: dipende da quante mete si vogliono collezionare in un viaggio. Io come si è capito sono per collezionarne di meno e spendere un po' più di tempo per ognuna, ma la maggior parte dei turisti non la pensa come me e preferisce tenere anche in vacanza lo stesso ritmo della vita quotidiana. Certo, un viaggio di mesi è diverso da un viaggio di settimane ed è una rarità avere a disposizione tutto il tempo che ho avuto io. Però il principio è lo stesso: in quattro giorni avrei preferito vedere qualche laguna, vulcano e salar in meno e dedicare più tempo a quello che avrei visto.
Mi è piaciuta l'agenzia comunque, credo di avere scelto quella giusta, così come la guida, un ragazzo che fa questo lavoro con passione, e tanto più l'ho capito dopo che mi ha raccontato che prima lavorava in una miniera.
Questa agenzia nei primi due giorni segue un percorso alternativo rispetto alle altre. Passa per alcuni villaggi completamente isolati con l'obiettivo di coinvolgere la gente del posto e permettere anche a loro di guadagnare qualcosa dal flusso turistico, che nella zona del salar si sta espandendo molto. A proposito della puna argentina avevo parlato di un mondo remoto, ma se quello era un mondo remoto, questo è letteralmente un altro pianeta. Chilometri e chilometri di strada impossibile, persi attraverso montagne selvagge, senza nessuna traccia di presenza umana. Nei villaggi, incredibilmente isolati e lontani da tutto, la gente ci guardava tenendosi a distanza, era quasi impossibile parlare con loro. In quello dove abbiamo dormito le donne che ci hanno preparato i letti sembrava che volessero farlo più in fretta possibile per allontanarsi al più presto da noi. Sono posti dove si fa una vita durissima. Vivono solo dell'allevamento dei lama e si nutrono quasi esclusivamente di carne di lama. La loro vita media non supera i 55 anni. Hanno grossi problema alla vista, perché si riscaldano bruciando un arbusto che produce un fumo tossico, e le loro case sono quasi completamente prive di finestre. Però mi hanno detto all'agenzia che è stato difficilissimo convincere la gente dei villaggi a mettere in piedi dei piccoli ostelli. Per quanto sia duro sono estremamente legati al loro modo di vivere. E' l'unico che conoscono. Credo che l'essenza della Bolivia sia questa: l'isolamento, la vita durissima e povera e il fortissimo legame con le tradizioni. Oltre allo spagnolo si parlano decine di lingue antiche, in alcuni luoghi solo quelle. Non si tratta di un mondo inesplorato, nemmeno socialmente. Ma molto poco esplorato. Nemmeno di un mondo incontaminato, si tratta. Forse nei luoghi più remoti sono secoli che non ci sono contaminazioni, ma anche qui arrivarono i conquistadores, infatti si parla lo spagnolo e anche nei villaggi più sperduti ci sono le chiese. E del resto prima degli spagnoli arrivarono gli Incas, ad assoggettare popolazioni, portare via l'oro ed imporre la loro lingua e le loro tradizioni. E forse basta il passaggio di un turista, di un viaggiatore, di uno studioso, per iniziare a contaminare.
Purtroppo non posso continuare: il tempo è scaduto e devo andare all'aeroporto. Il resto ve lo racconto a voce quando ci vediamo.
Aggiungo al volo un po' di foto.









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