martedì 14 aprile 2009

Di nuovo verso nord

Dopo Valparaiso ho ripreso la rotta verso nord, obiettivo la zona di Salta e Jujuy. Ho considerato la possibilità di salire per il Cile, ma il primo passo transitato dai mezzi pubblici che avrei incontrato sarebbe stato quello di Jama, molto a nord: sarei dovuto arrivare fino a San Pedro de Atacama. In quelle zone ci sono già stato e ci sarei anche tornato volentieri, però il tempo inizia a stringere e mio malgrado devo iniziare a fare dei conti. Alla fine ho scelto il versante argentino per vedere, sempre attraverso la cornice del finestrino di un bus, un paesaggio che non conoscevo.
Quindi nuovo attraversamento di cordigliera e confine, di nuovo per il passo de Los Libertadores e di nuovo ammirando il rampicante percorso del Ferrocarril Trasandino ed il selvaggio e multicolore paesaggio di quelle montagne.
Le prime due tappe sono state San Juan e Tucuman. Delle due città ho poco da raccontare perché ho visto poco, avendo passato la maggior parte del tempo a chiacchierare dentro gli ostelli.
Se c'è una cosa buona che ha portato il passare del tempo è la fine della stagione turistica. Dopo la carrettera Austral si è dissolta all'improvviso l'orda di viaggiatori implacabili e super efficienti che seguivano la guida turistica come fosse stata la bibbia. Da Chiloé in poi non ho quasi più incontrato turisti occidentali: europei, nordamericani e oceanici (da Oceania), che dopo le visite e le escursioni comandate passavano il tempo in rigorosa ed esclusiva compagnia reciproca, senza mostrare alcun interesse per quello che della realtà locale non era menzionato dalla guida. Non ho mai visto uno di questi viaggiatori in un bar o in un ristorante frequentato dalla gente locale. Chiusi negli ostelli a parlare tra di loro, a cucinare secondo la loro cucina, a pianificare, guida alla mano, le future tappe del viaggio oppure a sbevazzare e fare festa, specialmente i più giovani e nelle città più grandi (le quali erano piene di locali appositamente adibiti a far casino, ma loro preferivano fare casino dentro gli ostelli). E quando uscivano frequentavano i locali e i ristoranti, spesso "etnici" (sottolineo le virgolette), appositamente concepiti per loro.
L'ho trovato un modo di viaggiare mantenendo le distanze, senza mescolarsi, guardando il mondo come dietro la vetrina di un museo o, qualche volta, la gabbia di uno zoo. Portandosi dietro il più possibile del proprio mondo e cambiando il meno possibile delle proprie abitudini. Compreso il ritmo.
Naturalmente ognuno viaggia e si muove come vuole e come può, l'importante è che nel viaggiare si porti rispetto alla gente del posto e all'ambiente. Quanto meno che non si producano danni.
Rimanere chiusi, anche in viaggio, nella cerchia di persone provenienti dal proprio paese o comunque con cui si ha in comune lo stesso stile di vita può anche essere il sintomo del timore per ciò che è fuori dal proprio mondo e che non si conosce. A me però ha dato molto di più la sensazione di semplice e distaccata mancanza di interesse per ciò che non fa parte del proprio modo di vivere e della propria cultura, e di un implicito atteggiamento di superiorità.
Io pure, di mio, ho sicuramente i miei timori e le mie remore nel mescolarmi e lasciarmi andare, che in parte nel corso dei mesi ho superato ed in parte no. Ciononostante non mi sento così legato al mio modo di vivere, al mio modo di mangiare (e di bere il caffè), alle mie abitudini, alla mia lingua, da non volervi o non potervi rinunciare, almeno per il periodo di un viaggio. Piuttosto, con tutti i limiti che ho, quello che cerco di fare è staccarmene. Ci riesco in parte, ma quando ci riesco sono contento e sento di guadagnarci molto.
Insomma, nei confronti di questo tipo di turisti mi sentivo molto poco in sintonia e col passare dei tempo ed il consolidarsi del mio modo di vedere le cose ho smesso di cercare un contatto anche con loro e anzi, mi sono mantenuto sempre più alla larga. Non è stato difficile perché anche da parte loro nei miei confronti c'era una naturale indifferenza ed era evidente che non appartenevamo alla stessa comunità di viaggiatori.
Già che ci siamo, per finire il discorso sull'affinità con i colleghi viaggiatori, posso dire che mi sono trovato più facilmente in sintonia, tra gli occidentali, con spagnoli e francesi, e molto bene mi sono trovato con i viaggiatori "nazionali", cileni e argentini. Ciò non toglie che qua e là mi sia rapportato piacevolmente anche con persone del mondo anglosassone, germanico, nordeuropeo ed oceanico, ma in generale ho avuto più facilità a entrare in sintonia con i latini, e credo non solo per la maggiore facilità di comunicazione linguistica che avevo con loro.
In ogni caso da Chiloé in poi negli ostelli ho trovato poco affollamento e tutt'altra popolazione, e ne sono stato felice. In molti casi non si trattava nemmeno di viaggiatori ma di residenti fissi, persone che per motivi di lavoro, studio o altro si dovevano fermare a lungo in una determinata città. Il turismo era prevalentemente nazionale, molti argentini e cileni, e tra gli occidentali viaggiatori fuori stagione o di lungo corso (gente che sta fuori da anni) con un approccio e un ritmo molto diversi dalla massa che avevo incontrato fino a quel momento. Così negli ostelli l'ambiente era ricco e interessante. Gli stessi proprietari o i ragazzi che vi lavoravano erano ben disposti a fare delle chiacchiere, e così il tempo passava piacevolmente e le visite turistiche passavano in secondo piano.

Nessun commento:

Posta un commento